Il cibo sprecato vale 12,3 miliardi di euro, ma più della metà può essere recuperato

Ogni anno in Italia vengono buttati via 12,3 miliardi di euro di cibo consumabile (6,9 dai consumatori) pari a 5,5 milioni di tonnellate. Per i consumatori si tratta di 42 Kg a persona di avanzi non riutilizzati e alimenti scaduti o andati male che equivalgono a 117 euro l’anno. Tuttavia, già oggi quasi 1 miliardo di euro di cibo viene recuperato; per il futuro l’obiettivo è portare sulla tavola dei poveri altri 6 miliardi di euro di cibo.

 

La ricerca “Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità” realizzata da Fondazione per la Sussidiarietà e Politecnico di Milano in collaborazione con Nielsen Italia, Ed. Guerini e Associati, affrontando il tema dell’eccedenza e dello spreco alimentare, rileva come la quantità di alimenti prodotta in eccesso nel nostro Paese raggiunga i 6 milioni di tonnellate (pari al 17,4% dei consumi annui) per un valore economico di 13 miliardi di euro. La ragione principale di generazione dell’eccedenze è il disallineamento tra domanda e offerta e la non conformità del prodotto a standard di mercato. Lo stadio che contribuisce in misura maggiore è il consumo a livello domestico seguito dall’agricoltura e dalla distribuzione, anche se nell’insieme le imprese della filiera generano più eccedenza delle famiglie.

 

A oggi, gran parte dell’eccedenza alimentare diviene spreco a livello sociale, cioè non viene recuperata per il consumo umano. Solo una piccola parte - poco più del 6% - è donata a food banks ed enti caritativi.

 

Lo spreco in ottica sociale in Italia è pari a 5,5 milioni di tonnellate/anno, ossia il 92,5% dell’eccedenza e il 16,0% dei consumi. Questo spreco corrisponde a un valore economico di 12,3 miliardi di euro. Ogni anno nel complesso della filiera agroalimentare vengono sprecati 94 kg procapite pari a 208 euro. Focalizzandosi sullo spreco a livello domestico, ogni anno nelle famiglie italiane si butta via una quantità di cibo pari a 42 kg procapite (che equivalgono a 117 euro a persona e quasi 300 euro per una famiglia "media" di 2,5 componenti), pari all’8% della spesa, di cui il 42% sono alimenti scaduti o andati a male, il 58% sono avanzi non riutilizzati.

 

La ricerca non si limita tuttavia a dare una stima dello spreco alimentare in Italia, ma offre anche elementi concreti a chi sia interessato ad adottare e diffondere pratiche virtuose di gestione delle eccedenze. Risulta quindi prioritario diffondere le conoscenze delle caratteristiche e dei benefici di queste pratiche, diffuse soprattutto tra le imprese del settore della trasformazione, identificando quei casi di successo nella lotta allo spreco di aziende che collaborano con operatori non profit di grande esperienza. Emergono grandi spazi di lavoro per gli attori della filiera (agricoltura e allevamento, distribuzione e ristorazione), cui è richiesto un investimento a livello di sistema e la sistematizzazione del processo di gestione delle eccedenze.

 

Per questo, afferma il Rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone, “affrontare in modo scientifico, senza dogmatismi, un tema come quello delle eccedenze alimentari, è oggi estremamente importante”. “La ricerca - aggiunge il Rettore - evidenzia grandi margini di recupero in questo campo ma, soprattutto, dimostra che per recuperare in modo ampio le eccedenze alimentari non si possa contare solo sulla buona volontà dei singoli attori, ma sia indispensabile uno sforzo sistematico e integrato di tutti; si tratta di un obiettivo ambizioso, degno a mio avviso di un vero e proprio Progetto Paese”.

Entrando nel merito della ricerca, rileva Alessandro Perego, Professore ordinario di Logistica e Supply-Chain Management, Politecnico di Milano e curatore della ricerca, “emerge come dato fondamentale che quasi il 50% delle eccedenze generate nella filiera agroalimentare è recuperabile per l’alimentazione umana con relativa facilità, se lo si vuole realmente fare. Certo, occorre un gioco di squadra in cui le aziende della filiera - cooperative di agricoltori, produttori, grande distribuzione, catene di ristoratori - collaborano con intermediari qualificati in un contesto normativo che tenda a garantire la qualità senza però creare inutile burocrazia.” Riprende Perego: “L’obiettivo principale del nostro lavoro è stato quello di spostare l’attenzione dal puro sensazionalismo - si sprecano molti milioni di tonnellate di alimenti - alla creazione di modelli e strumenti volti a suggerire una strategia concreta per la riduzione all’origine delle eccedenze o quanto meno per la loro gestione - in modo socialmente utile - una volta che siano state generate”.

Un tema su cui pone l’attenzione anche Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: “In un momento di crisi economica, occuparsi in modo scientifico delle eccedenze alimentari risponde a tre obiettivi fondamentali: verificare le inefficienze della filiera alimentare, recuperare una grande quantità di alimenti per combattere la povertà, educare le persone al valore del cibo in un’epoca di consumismo”. Aggiunge quindi Vittadini: “L'indagine conferma che ci sono effettivamente eccedenze e sprechi, ma mostra anche che la collaborazione tra istituzioni, filiera agroalimentare e realtà non profit quale il Banco Alimentare è fondamentale per rispondere al bisogno alimentare di tante persone indigenti. La ricerca mostra anche che le famiglie italiane sprecano gli alimenti che hanno a disposizione in misura molto minore rispetto a famiglie di altri paesi, probabilmente per la loro maggiore coesione che permette di veicolare la coscienza di certi valori in modo più efficace. Nessuna crisi e nessuno spreco si vincono con la bacchetta magica o con proclami, ma con un lavoro che richiede collaborazione ed educazione”.

Il recupero delle eccedenze alimentari e la collaborazione con le food banks rappresentano una questione rilevante per le imprese alimentari, come mette in luce Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs Gruppo Nestlé In Italia: “Siamo molto sensibili al tema delle eccedenze che, tengo a sottolineare, per un'azienda alimentare leader come la nostra rappresentano uno spreco per ben tre volte: costano quando vengono create, quando devono essere distrutte e perchè non possono più fare ciò per cui sono nate, ovvero nutrire le persone”. Per questo, continua Manuela Kron, “da anni in Italia collaboriamo strettamente e in modo virtuoso con il Banco Alimentare, partner che ci permette di non sprecare e di far diventare una risorsa preziosa per gli altri le nostre eccedenze, mettendo a disposizione dell'Associazione alimenti di ottima qualità ed edibili ma che per varie ragioni non possono più essere venduti. Abbiamo quindi aderito con convinzione al progetto di ricerca, in quanto perfettamente in linea con la nostra strategia che ci vede impegnati nella creazione di valore condiviso, che significa per noi porsi obiettivi a lungo termine con l’intento di garantire benefici, oltre che per l’azienda e i suoi azionisti, anche per le comunità nelle quali operiamo. Auspichiamo quindi che sempre più aziende alimentari scelgano di organizzarsi in questa direzione, partendo dalle linee guida ben disegnate dal Rapporto”.

 

La ricerca, afferma Andrea Giussani, presidente di Fondazione Banco Alimentare Onlus, è uno stimolo importante per continuare con efficacia il lavoro di recupero delle eccedenze: “La nostra esperienza di prima food bank italiana iniziata nel 1989, sull’esempio statunitense avviato da John Van Hengel, ci consente di intuire alcuni fatti di mercato ma in un contesto di dinamiche produttive e distributive così fortemente in evoluzione, una ricerca così mirata e che indaga un fenomeno mai esplorato prima con eguali modalità rigorose diviene per noi un punto di riferimento, una opportunità importante”. “Se da un lato i risultati ci allarmano - rileva Giussani - per i volumi di spreco evidenziati, dall’altro ci rassicurano sulle scelte intraprese e ci stimolano a dare il massimo. Questa ricerca rappresenta anche una finestra sulla realtà per tutti gli attori della filiera agroalimentare, industrie e distributori in primis, e mi auguro li stimoli a considerare sempre più “strategico” il donare le proprie eccedenze a chi - come la Rete Banco Alimentare - con costanza e continuità quotidianamente combatte la povertà e il disagio sociale attraverso il recupero e la redistribuzione delle eccedenze”.

 

In definitiva occorre una chiara definizione della gerarchia di utilizzo delle eccedenze da parte degli attori della filiera e un impegno congiunto di imprese, food banks, enti caritativi, famiglie e attori pubblici per l’identificazione, valorizzazione e diffusione delle pratiche virtuose. L’impegno congiunto potrebbe portare a recuperare più di 3 milioni di tonnellate di cibo, con un costo per la collettività relativamente ridotto, in rapporto al beneficio ottenibile.

 

FONTE: http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=490&id_n=4430

 

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