I 10 motivi per preferire le città circolari

Può una crisi generare un ripensamento globale? E’ l’auspicio di tanti e tante in questo sciagurato 2020, contrassegnato dalla pandemia coronavirus. Ma in fondo è il proposito anche dell’economia circolare, nata dalla crisi più ampia e generale dell’economia lineare che una band come i CCCP aveva già sintetizzato con l’efficace (e brutale) formula “produci-consuma-crepa”. Ed è la tesi di fondo del position paper di Enel Città circolari – Le città di domani, che prova a immaginare il mondo post Covid-19, individuando le sfide economiche, ambientali e sociali che ci ritroveremo ad affrontare. Il paper, giunto alla terza edizione, è redatto da una multinazionale come Enel che negli ultimi anni si è caratterizzata come leader mondiale nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. 

 

Mentre la prima edizione dello studio di Enel, nel 2018, si concentrava soprattutto sulle tecnologie e la seconda, l’anno scorso, riguardava i modelli di business circolari, quest’anno il focus è stato spostato su un aspetto più complesso e articolato: come realizzare la trasformazione circolare delle città.

 

Ma quali sono i 10 motivi (più uno)  perché tutti dovremmo preferire le città circolari?

 

Perché le città sono i posti dove viviamo

 

“Le città ospitano oggi più della metà della popolazione mondiale e generano oltre l’80% di tutta la produzione economica e gran parte delle emissioni inquinanti – osserva Michele Crisostomo, presidente Enel – Inevitabilmente su di esse si scaricano anche le tensioni dei grandi trend globali: dai fenomeni demografici e migratori alla crescente domanda di energia, fino agli effetti del cambiamento climatico”. Gli spostamenti ridotti di questi mesi hanno messo ulteriormente a nudo le fragilità dei luoghi che attraversiamo e che viviamo. “Nell’emergenza le città sono diventate rete, connessione, servizi, soccorso, solidarietà” scrive ancora Crisostomo. Ecco perché le città del futuro dovranno essere ridisegnate a partire dalle rinnovate esigenze che il Covid-19 ha rimesso in discussione: da una maggiore mobilità pubblica a nuovi spazi verdi, da abitazioni più ampie e più isolate alla digitalizzazione dei servizi che possa permettere di lavorare meglio da casa. 

 

Perché le città sono energivore e continuano a crescere

 

Già oggi, secondo il World Economic Forum, le città consumano circa i due terzi dell’energia mondiale e sono responsabili di una quantità simile di emissioni. D’altra parte il processo di urbanizzazione ha subìto negli ultimi decenni un’accelerazione potente: sempre più si sono diffuse le megacity, dove però modelli di sviluppo insostenibili hanno via via creato e acuito però varie conflittualità.  Sono poi noti i problemi legati nelle grandi città alla bassa qualità della vita e all’impatto di fattori ambientali, economici e sociali negativi. Di fronte a uno scenario come quello attuale, che ci prospetta nuovi possibili lockdown e più in generale una diffusa tendenza  allo smart working, le città rischiano di diventare invivibili e insostenibili.

 

Perché le norme ci sono

 

Un esempio tipico è il Green Public Procurement – e la sua evoluzione in termini di Circular Public Procurement –, iniziativa che attraverso la definizione di determinati criteri con cui vengono assegnati gli acquisti pubblici spinge la catena di approvvigionamento verso obiettivi di circolarità. Iniziative di questo tipo possono avere inoltre effetti sistemici: da un lato hanno un impatto sull’intera catena dei subappaltatori, e dall’altro possono lavorare in sinergia con proposte simili realizzate dalle aziende. A livello europeo invece è senz’altro degna di nota la rilevanza data dal recente Piano d’Azione per l’Economia Circolare dell’Unione Europea al ruolo delle città e dei territori nel realizzare la transizione verso un modello di economia circolare. Va ribadito poi che la leva fiscale contribuisce a indirizzare le scelte economiche. Ad esempio, uno spostamento della tassazione sull’uso delle risorse non rinnovabili e sulla generazione di rifiuti, a fronte di una riduzione di quella sul lavoro, accelererebbe la transizione verso soluzioni circolari basate su materiali ed energie rinnovabili o su attività di manutenzione, riparazione e servizi. 

 

Perché le città necessitano e sviluppano un approccio olistico

 

La premessa in questo caso è che l’economia circolare non presuppone un’unica soluzione. L’approccio delle città all’economia circolare, mirato in primo luogo a risolvere le sfide locali, deve comunque essere visto nel quadro più vasto dei possibili impatti sistemici; le città sono integrate nei circuiti regionali e globali, pertanto eventuali miglioramenti su tale scala possono generare ulteriori impatti su scala più ampia. Più in generale, le città sono il luogo in cui la forte interconnessione delle persone consente una continua innovazione e creazione di idee, e rappresentano quindi un acceleratore in cui i nuovi modelli possono essere continuamente testati, combinati e migliorati. Se l’economia circolare funziona nelle città, così onnipresenti nelle nostre vite, allora funzionerà ovunque!

 

Perché le città circolari sono l’evoluzione della smart city

 

Il concetto di città circolare è arrivato dopo (e in qualche modo è stato elaborato a partire da) quello di smart city. Sebbene non sia facile operare una netta distinzione, perché le etichette non sono sempre così chiare, nella visione di Enel il passaggio da città intelligente a città circolare si traduce nel passaggio da una visione focalizzata principalmente sulle nuove tecnologie e sui vantaggi che queste possono offrire a una visione in cui le tecnologie continuano ad avere un ruolo importante, ma sono inserite in una visione olistica in cui gli obiettivi sono di competitività economica, sostenibilità ambientale e inclusione sociale. 

 

Perché le città circolari significano nuovi posti di lavoro

 

Progettata su larga scala, la trasformazione delle città circolare, oltre agli evidenti benefici economici e ambientali, può anche portare alla creazione di nuovi posti di lavoro in settori come manifattura, riuso, riparazioni e servizi, attività che generalmente richiedono una forte vicinanza al cliente e che pertanto potrebbero rappresentare un’ulteriore opportunità di sviluppo a livello locale. Una menzione specifica richiedono poi i temi della condivisione (sharing) e del riuso mediante vendita, modelli che permettono una partecipazione diretta dei privati cittadini: non si tratta di creazione di posti di lavoro, ma di una forma di integrazione del reddito. La stima degli impatti complessivi deve inoltre considerare le numerose interazioni intersettoriali promosse da un approccio di economia circolare, compresi quindi lavori che abilitano la circolarità, quali ad esempio il design dei nuovi prodotti in ottica circolare, lavori propriamente circolari, quali ad esempio la rimanifattura, e lavori indirettamente legati all’economia circolare, relativi ad esempio alla logistica inversa

 

Perché le città circolari incentivano una governance più diffusa

 

Un elemento ricorrente è dato dal fatto che la governance aperta (ovvero trasparente e partecipata) è un fattore in grado di migliorare l’efficacia dei modelli economici applicati. L’economia circolare può essere sviluppata concettualmente secondo due direttrici: ci sono progetti più sistemici che devono nascere dall’alto (top down) e ci sono molti progetti, collegati a soluzioni più specifiche, che possono sorgere dal basso (bottom up). Se al momento l’economia circolare è intesa, almeno a livello governativo, più come approccio top-down – in assenza di una sensibilizzazione che giornali come il nostro provano a colmare – è chiaro che l’approccio olistico dell’economia circolare privilegia gestioni partecipate quando non vere e proprie autogestioni delle comunità. La pandemia per esempio ha offerto al mondo l’opportunità di reimparare il valore del cibo e di riconnettersi con chi lo produce, chi lo distribuisce, chi lo trasforma e anche con le persone con cui lo si condivide. La pandemia ha portato alla luce le disfunzioni della catena di approvvigionamento del settore agroalimentare attuale (raccolta, trasporto, distribuzione e stoccaggio): sono aumentati sprechi e perdite, che hanno messo a rischio la sicurezza e il lavoro delle aziende agricole e compromesso la qualità del cibo. Questa evidente mancanza di resilienza e flessibilità della catena di approvvigionamento impone una profonda riflessione in merito al settore alimentare: un cambiamento radicale che porti dai sistemi centralizzati alla disintermediazione, alla decentralizzazione e alle relazioni dirette tra agricoltori e consumatori finali. 

 

Perché si favorisce una maggiore collaborazione tra enti

 

Gli sforzi locali devono essere integrati e inclusi in un quadro collaborativo più generale, sfruttando la collaborazione tra istituzioni, settore privato, università e centri di ricerca e cittadini. Ad esempio, le amministrazioni locali possono incoraggiare le imprese circolari prevedendo incentivi o rimuovendo sussidi che favoriscano il consumo di energie non rinnovabili, o ancora definendo roadmap chiare verso la circolarità. Le aziende da parte loro possono testare nuovi modelli di business circolari e promuovere un adeguamento delle competenze. Anche i cittadini, infine, possono contribuire, cambiando le loro abitudini e i comportamenti di consumo.

 

Perché rende efficiente la collaborazione tra pubblico e privato

 

Progetti come quello del car sharing elettrico o del consumo di energia rinnovabile da parte dei cittadini non sono legati esclusivamente alle offerte commerciali delle aziende, ma presuppongono l’esistenza di condizioni per le quali i cittadini non solo non sono ostacolati nel perseguire il cambiamento verso nuovi modelli basati su riuso e riciclo, ma, ove possibile, vengono incentivati ad assimilare questa evoluzione. In questa logica, la collaborazione pubblico-privato non è più un elemento abilitante, fra i tanti, di un modello di sviluppo più sostenibile e di crescita più inclusiva. Piuttosto, diventa un perno essenziale del paradigma circolare, cioè l’asse intorno al quale viene costruita la sussidiarietà orizzontale nel contesto urbano, nonché la base per sviluppare soluzioni industriali preordinate a una migliore qualità della vita nelle città di domani. Per la pubblica amministrazione si tratta di superare un modello organizzativo e gestionale tipicamente verticale, optando per uno schema che consenta l’interazione orizzontale con attori diversi, pubblici e privati, nella progettazione e gestione di servizi di ultima generazione.

 

Perché esistono casi positivi

 

La grande vocazione alla circolarità di molte città europee come Amsterdam e Parigi rappresenta un punto di riferimento per molti altri centri urbani. A Santiago del Cile, ad esempio, per combattere l’annoso problema dell’inquinamento atmosferico si stanno sostituendo le tradizionali stufe a legna – un solo modello emette inquinanti equivalenti a 5 autobus a diesel – con apparecchiature ad aria condizionata che coinvolge diversi attori: le aziende che superano i limiti di emissioni devono presentare un progetto di compensazione ambientale, mentre le famiglie si iscrivono volontariamente al programma che viene coordinato dai Comuni. Anche la Colombia, nello specifico la capitale Bogotá, si sta collocando nella scena sudamericana come Paese leader nell’applicazione dell’economia circolare. Nel piano urbanistico di Bogotá è stato indicato il Triángulo de Fenicia – un’area di una zona densamente popolata nel cuore della città, con condizioni diverse e molte ineguaglianze, dove convergono il centro storico (La Candelaria) e il cluster universitario della città – come oggetto di una strategia di rinnovamento urbano .È stato lanciato il Plan Parcial Triángulo de Fenicia, guidato da un attore chiave nella zona, l’Universidad de los Andes, che promuove il Proyecto Progresa Fenicia per lo sviluppo di azioni di gestione sociale, ambientale ed economica (costruzione di 67.000 metri quadri di area commerciale, hotel e uffici; 25.500 metri quadri di residenziale; 3.500 metri quadri di attrezzature pubbliche rinnovate; 900 nuove case). Esempi simili esistono a Montevideo, Boston e Pittsburgh.

 

(bonus) Il caso della città di San Paolo

 

 A San Paolo Enel ha da poco lanciato il progetto Urban Futurability, che prevede l’impiego di tecnologie assolutamente innovative per l’industria 4.0, tra cui una cinquantina di iniziative che portano in Brasile per la prima volta nuove tecnologie (dalla manutenzione predittiva all’hyper reality per interventi e formazione sul campo, fino allo smart metering e all’intelligenza artificiale per la sicurezza) e nuovi servizi che impatteranno sulla gestione degli asset e sulle attività lavorative quotidiane. Ad esempio, la trasformazione di 4,8 chilometri di rete aerea in rete sotterranea avviene attraverso un modello di cantiere sostenibile che migliora le prestazioni di sostenibilità e il riutilizzo nelle attività di perforazione di materiali come acqua e terra. Si sta inoltre testando la sostituzione del calcestruzzo con polimeri riciclati da rifiuti di plastica (sia acquistati sia provenienti da scarti Enel), riducendo così l’impatto ambientale e il consumo di risorse, e al contempo garantendo un risparmio sui costi e investendo in sicurezza. Il progetto avrà anche un sistema di semafori intelligenti per migliorare la viabilità, ridurre il tempo speso nel traffico all’interno del perimetro e ridurre la quantità di emissioni. Per fornire un’illuminazione pubblica in grado di rendere la regione più sicura, più moderna, efficiente e accattivante, Enel installerà il sistema Smart Lighting, completamente digitale e in grado di fornire da remoto al Comune una gestione in tempo reale del sistema di illuminazione pubblica della regione, consentendo più velocemente risposte ai problemi che si dovessero presentare.

 

di Andrea Turco

 

Fonte: https://economiacircolare.com/i-10-motivi-per-preferire-le-citta-circolari/