Cop26, su Glasgow il fantasma del nucleare. Le pressioni della Francia

Il grande fantasma che si aggira alla Cop26 di Glasgow è il nucleare. Almeno per quanto riguarda l’Italia. Infatti mentre diversi Paesi, in primis la Francia, spingono da tempo e cercano alleanze su questo fronte (anche a Roma) contro Stati più restii come la Germania, in Scozia il premier Mario Draghi e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non ne parlano apertamente. Neppure quando in conferenza stampa il premier sottolinea i limiti delle rinnovabili, che potrebbero non fare raggiungere i target al 2030 e al 2050, e parla di “alternative praticabili”. Il ministro aggiunge: “C’è una tassonomia che dirà cosa può essere definito realmente verde“. Trattasi dell’atto legislativo che stabilirà che cosa è un investimento verde dal punto di vista dell’impatto climatico e che cosa non lo è. E si dà il caso che, proprio pochi giorni prima dell’apertura della Cop26, la Commissione europea, che ha più volte temporeggiato, abbia scoperto le carte. La presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che per la transizione green “abbiamo bisogno di più rinnovabili” ma “abbiamo anche bisogno di una fonte stabile, il nucleare, e del gas”. Questa la posizione portata in seno al Consiglio Ue (vero organo decisionale), base di partenza della proposta che sarà presentata ufficialmente a dicembre. Le divergenze restano ma, nel frattempo, nel prossimo semestre scatterà anche la nuova presidenza del Consiglio Ue. Che sarà della Francia, nuclearista convinta. Parole, quelle di Ursula von der Leyen, dopo le quali è immediatamente arrivata la presa di posizione netta del ministro leghista dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, secondo cui in Italia “bisogna cominciare a discutere di nucleare pulito”. E la Lega ha annunciato anche una proposta di legge per superare il no all’atomo. A 34 anni dal referendum e dopo la valanga di soldi costati allo Stato. Ma tutto torna.

 

 

LA VISIONE DI DRAGHI E CINGOLANI – Anche con le parole del premier italiano che, in Scozia, ha spiegato: “Oggi non è realistico raggiungere i principali obiettivi che si è posta l’Ue (la neutralità climatica al 2050 e la riduzione delle emissioni del 55% al 2030 rispetto al 1990) solo con le rinnovabili. Ce lo hanno detto la Commissione, le Nazioni Unite. Bisogna fare molte più cose”. E ha chiesto a Cingolani di spiegare perché. “Si decarbonizza in tre modi – ha iniziato il ministro della Transizione ecologica – il primo è quello diretto, il low hanging fruit, quello più a portata di mano”. Quello che produce il grosso dell’anidride carbonica “è il nostro meccanismo di produzione dell’energia, la produzione primaria. Noi estraiamo carbonati fossili dal sottosuolo – sempre Cingolani – e poi li bruciamo, per alimentare motori a combustione interna, oppure per far bollire dell’acqua, che crea gas e a sua volta una turbina crea elettricità”. Per il ministro questa operazione durata decenni “funziona molto bene, ma è una delle fonti primarie di anidride carbonica. Oggi cambiare come produciamo l’energia che utilizziamo, e in particolare muoversi verso l’elettrificazione, vuol dire alimentare un’ulteriore catena di trasformazione della mobilità e della manifattura”. Dunque i forni, invece di bruciare carbone “utilizzeranno resistenze elettriche, le auto andranno a batteria e dovranno essere alimentate, le batterie, da corrente elettrica, che però dovrà essere verde. Quindi, il nostro primo obiettivo è cambiare la produzione di energia primaria ed elettrificare tutti i comparti che oggi producono Co2”. Circa un terzo viene dalla manifattura, circa un quarto dalla mobilità, e un altro 20-22% dalla nostra vita: case, riscaldamento, eccetera. “Su questo (su come decarbonizzare la produzione di energia elettrica, ndr) noi aspettiamo, stiamo tutti lavorando, la tassonomia europea” ha detto Cingolani.

 

LA TASSONOMIA VERDE – “Non posso anticipare le decisioni sulla tassonomia Green che prenderanno Valdis Dombrovskis e Mairead McGuinness (rispettivamente vice-presidente della Commissione Ue e commissaria per i Servizi finanziari, ndr), ma il mix energetico del futuro ha bisogno delle rinnovabili” ha spiegato nei giorni scorsi, al termine del Consiglio Energia, anche la commissaria europea all’Energia Kadri Simson. Che ha aggiunto: “A fianco di queste, serviranno fonti stabili durante la transizione: sia il gas che il nucleare sono fonti di cui la Commissione tratterà nell’atto delegato” relativo alla tassonomia verde “nel prossimo futuro”. Di fatto si va delineando una situazione precisa. Non c’è solo la Francia che conta il 43% di nucleare e l’8% di rinnovabili nel mix energetico, secondo i dati dell’ultimo Climate Transparency Report, ma a cui l’energia dell’atomo non ha permesso comunque di essere in linea con la soglia massima di riscaldamento globale di l’1,5° C e neppure con la riduzione delle emissioni, che deve aumentare del 40% se vuole centrare l’obiettivo del 2030. Parigi sta valutando di costruire gli Small Modular Reactors, reattori a fissione molto più piccoli (e meno costosi) degli impianti tradizionali. Quelli citati mesi fa anche dal ministro della Transizione ecologica Cingolani, le cui parole avevano scatenato un vespaio di polemiche, evitate a Glasgow. Ma a metà ottobre, proprio guidati dalla Francia, altri nove Paesi hanno chiesto l’inclusione del nucleare nella tassonomia: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. Per i rispettivi ministri dell’Economia e dell’Energia si tratta di una scelta “assolutamente necessaria”. Come andrà a finire? “Non è questione di scelte personali – ha detto Cingolani in Scozia – c’è una tassonomia che dirà cosa può essere definito realmente verde, sulla base dell’impatto climalterante e sulla base di questa tassonomia la Commissione si è pronunciata molto bene: si lascerà agli Stati la libertà di fare delle scelte, purché si riesca a ridurre la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera. Voi capite che questa è una sfida, dal punto di vista tecnologico, epocale”.

 

IL DOCUMENTO NUCLEARISTA DELLA FRANCIA – A Parigi hanno colto da tempo la portata della sfida. Nei tempi e nei modi. E hanno approfittato della conferenza di Glasgow per presentare un documento non ufficiale e imprimere un’ulteriore spinta alla discussione. I temi sono due, chiarissimi: energia nucleare ‘verde’ per ridurre le emissioni di gas serra e gas naturale fonte di transizione, con la possibilità di costruire impianti fino al 2030, con tetto alle emissioni. Il testo, inoltre, suggerisce soluzioni per andare oltre lo scontro esistente all’interno della Ue tra sostenitori del gas e nuclearisti; il tema, ovviamente, è decidere quale attività può diventare finanziabile a livello comunitario per garantire una transizione realistica e raggiungere i target fissati dall’Ue. Secondo il documento, tutte le attività legate alla produzione di elettricità dall’atomo dovrebbero essere considerate in questo novero. Il gas potrebbe invece essere certificato come sostenibile per la produzione di energia con un tetto alle emissioni a 100g di CO2 per kWh, oppure con limiti più alti ma solo fino al 2030. Il documento fa anche riferimento all’agricoltura, chiedendo che il metodo biologico, alcuni eco-regimi e misure agroambientali della Politica agricola comune (Pac) siano riconosciuti verdi per definizione.

 

IL THINK TANK ECCO: “INSISTERE SU FOSSILI E NUCLEARE SAREBBE UN BAGNO DI SANGUE” – Al netto della posizione francese, il tema continua a creare divisioni in Italia, dove la discussione sul deposito nazionale di rifiuti radioattivi ha fatto fare un po’ di conti anche su quanto è costato. Dal 2001 al 2018, dei 3,7 miliardi di euro pagati dai consumatori in bolletta, solo 700 milioni sono stati spesi nello smantellamento, realizzando fino al 2018 solo un terzo del programma. Il resto è andato ai costi di gestione e per far trattare il combustibile radioattivo in Francia e nel Regno Unito. “È vero che le rinnovabili hanno bisogno di essere accompagnate anche da altre iniziative per rendere più efficiente la decarbonizzazione dell’energia – spiega a ilfattoquotidiano.it Michele Governatori, responsabile Energia del think tank Ecco – ma questo non significa che occorra prolungare gli investimenti nelle energie fossili o nel nucleare attuale. Il gas, del resto, ci sta regalando questo incremento di prezzo dannoso alla ripresa: quanto a lungo vogliamo essere esposti a rischi del genere?”. Per Governatori “le rinnovabili sono indiscutibilmente la fonte di energia più economica oggi disponibile considerando il costo ambientale delle emissioni dannose”. Ma perché possano sostituire presto tutte le fossili “occorre che siano accompagnate da accumuli di energia (batterie o centrali a pompaggio), un ulteriore adattamento delle reti elettriche e meccanismi per rendere flessibile la domanda, che si stanno diffondendo in molti Paesi, ma che in Italia sono indietro per scelte di regolamentazione sbagliate come il capacity market”. Eppure gli occhi e le energia sembrano puntate su gas, tecnologie come la cattura e lo stoccaggio di CO2 e nucleare. “Insistere sulle fossili o sul nucleare attuale sarebbe un bagno di sangue – spiega Governatori – perché le fossili richiederebbero per la neutralità climatica un apparato di cattura e stoccaggio di CO2 costosissimo, tecnologicamente ancora indietro e comunque pericoloso in termini di futuro presidio degli stoccaggi, mentre il nucleare disponibile oggi ha costi improponibili e non ha la flessibilità necessaria per accompagnare le rinnovabili”.

 

di Luisiana Gaita 

 

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/02/cop26-su-glasgow-il-fantasma-dellenergia-nucleare-le-pressioni-della-francia-le-aperture-ue-e-la-tassonomia-verde-come-cavallo-di-troia-per-latomo/6376516/