Deloitte, inazione contro il climate change costerà 178 trln di dollari

L’inazione contro il cambiamento climatico potrebbe costare all’economia globale 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni. Nel 2070 la perdita media annua del Pil si assesterebbe sul -7,6%, rispetto a uno scenario non affetto dal cambiamento climatico. Al contrario, accelerando rapidamente il processo di decarbonizzazione, l’economia globale potrebbe guadagnare 43 trilioni di dollari nei prossimi cinque decenni. È quanto emerge dal report Global Turning Point Report 2022 di Deloitte.

 

Gli analisti di Deloitte Economics Institute Turning Point hanno infatti preso in considerazione e analizzato le conseguenze di due scenari su un fronte temporale da qui al 2070. Il primo prevede il proseguimento del cosiddetto “business as usual” quindi una non azione globale per il clima, continuando a far aumentare le emissioni di gas serra e la temperatura del pianeta; il secondo invece è uno scenario in cui l’azione globale per il clima permetta di decarbonizzare l’economia entro metà secolo, 2050.

 

Dallo studio emerge che la transizione verso una struttura economica a emissioni nette zero inizialmente avrebbe un impatto economico (in termini di crescita di PIL) maggiore, rispetto a uno scenario di inazione, dovuta alla combinazione tra gli impatti già esistenti del cambiamento climatico sull’economia e gli investimenti necessari per la decarbonizzazione dei settori. Ma, al completamento della transizione, i benefici economici derivanti dall’aver evitato i danni dovuti al cambiamento climatico, l’emergere di nuove risorse per la crescita assieme e la creazione di nuovi posti di lavoro più che compenserebbero i costi sostenuti nella fase iniziale e quindi il PIL potrebbe crescere gran lunga di più rispetto allo scenario del “business as usual”.

 

A seconda del momento in cui avverrà la transizione, i costi potrebbero cambiare. Quanto più si ritarda l’azione, tanto maggiori saranno i costi economici legati al cambiamento climatico e quindi tanto maggiore sarà la perdita in termini di crescita del PIL.

 

La non azione determinerebbe un calo della produttività, del lavoro, degli standard di vita e del benessere. Infatti, l’aumento della temperatura globale determina una perdita dei raccolti (e quindi una riduzione dei ricavi nel settore agricolo), un aumento delle malattie (e quindi un aumento della spesa sanitaria), un aumento degli eventi estremi anche in città. Insomma, al posto di investire in nuove strutture e innovazione (per adattarsi agli impatti e mitigarne l’intensità), le risorse economiche, in uno scenario di non azione, sarebbero impiegate a riparare i danni causati dal cambiamento climatico.

 

Ma un’altra strada è possibile. “Un cambiamento negli stili di vita, di consumo e di produzione”, ha affermato Stefano Pareglio, Independent Senior Advisor di Deloitte, “unito a un riorientamento dei flussi di capitale e a un ricorso massiccio alle nuove tecnologie, sono elementi fondamentali per mantenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5°C a fine secolo, traguardo ancora raggiungibile se agiamo con determinazione fin da ora. Finanza e tecnologia rappresentano, infatti, leve decisive per sostenere un cambiamento duraturo e diffuso, che rappresenterebbe anche una straordinaria occasione di crescita economica e di sviluppo per nuove industrie e aree del pianeta”.

 

Secondo il report, sono quattro gli elementi chiave su cui agire per favorire la decarbonizzazione a livello globale. Questi sono la collaborazione tra settore pubblico e privato, per la costruzione di politiche efficaci volte a guidare il cambiamento; gli investimenti da parte delle imprese e dei governi, per promuovere cambiamenti strutturali nell’economia globale tali da privilegiare le industrie a basse emissioni e accelerare la transizione verde; l’impegno, in ogni area geografica, a gestire i rispettivi “turning points”, ossia il momento in cui i benefici della transizione verso la neutralità carbonica superano i corrispondenti costi, guidando così una crescita regionale positiva; e infine, sulla base del relativo turning point, la promozione di e il supporto attivo a un futuro più sostenibile, ovvero a un’economia decarbonizzata in grado di crescere a tassi maggiori rispetto a una equivalente economia carbon-intensive.

 

Gli impatti sull’ Italia e l’area mediterranea

Il Mediterraneo è considerato un vero e proprio “hotspot” del cambiamento climatico: si è infatti riscaldato e continuerà a riscaldarsi più della media mondiale. Già oggi la temperatura media è di +1,5°C rispetto al livello preindustriale, contro una media globale di +1.1°C.

 

Guardando all’Italia, con uno scenario di riscaldamento globale di circa 3°C si verrebbero a verificare enormi danni in termini economici, ambientali e per la salute umana. Nei prossimi 50 anni, secondo Deloitte, tale scenario potrebbe costare circa 115 miliardi al 2070, l’equivalente di un calo del 3,2% del PIL al 2070. La risorsa “acqua” è, e sarà secondo la società di consulenza, la più critica nell’area mediterranea, come purtroppo testimonia la siccità che ha caratterizzato i primi mesi del 2022 nel nostro Paese.

 

Fonte: https://esgnews.it/environmental/deloitte-inazione-contro-il-climate-change-costera-178-trln-di-dollari/