Cos’è l’Accordo di Parigi sul clima e perché questa è una data storica

Dagli obiettivi (limitare il riscaldamento del pianeta entro i 2 gradi) ai firmatari, dalle critiche (molte) ai firmatari eccellenti: perché quello che entra in vigore il 4 novembre 2016 è un piano senza precedenti. E che, per il bene della Terra, non può fallire

 

L’ultimo allarme arriva da Rio de Janeiro. Secondo uno studio divulgato dal governo brasiliano, l’innalzamento dei mari provocato dal riscaldamento globale potrebbe far sparire entro il 2040 alcune delle spiagge più famose — e dei quartieri limitrofi — della città carioca.

La febbre del pianeta

La febbre del pianeta Terra non accenna a placarsi. È recente la conferma della Nasa: il 2016 sarà probabilmente l’anno più caldo di sempre, o almeno da quando esistono le misurazioni, cioè dal 1880. Il Goddard Institute for Space Studies dell’Agenzia spaziale americana ha registrato in settembre una temperatura globale di 0,91 gradi centigradi superiore alla media rilevata nello stesso mese in passato. Da parte sua, l’Organizzazione meteorologica mondiale ha rivelato che la concentrazione media di anidride carbonica (Co2) in atmosfera ha raggiunto il traguardo di 400 parti per milione (ppm) nel 2015 (il link allo studio nell’icona blu).

 

Un accordo storico

Mentre l’Artico, rileva ancora la Nasa, ha toccato nel 2016 un’estensione minima di 4,72 milioni di chilometri quadrati, il quinto record storico negativo. È in questo scenario di primati poco encomiabili che oggi, 4 novembre, entra in vigore lo storico Accordo di Parigi, firmato il 12 dicembre scorso da 197 Stati alla XXI Conferenza sul clima o Cop21 (ne trovate il testo definitivo sfiorando l’icona blu). Era necessaria la ratifica di almeno 55 Paesi, pari al 55% delle emissioni globali di gas serra: la soglia è stata superata il mese scorso, anche grazie allo strappo dell’Unione europea, che ha deciso di agire senza aspettare i singoli Paesi membri. Da allora i ritardatari hanno fatto a gara per arrivare con le carte in regola al prossimo appuntamento, la Cop 22 che si apre il 7 novembre a Marrakech. Sul filo di lana anche l’Italia: Camera e Senato hanno dato il via libera a quasi sei mesi dalla firma del trattato e a soli sette giorni dall’inizio della Conferenza in Marocco. Senza la ratifica saremmo rimasti dei semplici spettatori ai negoziati che ora puntano a definire gli strumenti per l’applicazione dell’Accordo di Parigi.

 

Che cosa prevede l’intesa

Come ha ricordato il WWF, infatti, con la sua entrata in vigore «non si apre un periodo di celebrazioni, bensì comincia una fase di duro lavoro per tutti». L’Accordo parte dal presupposto che «il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta» e richiede «la massima cooperazione di tutti i Paesi». Il traguardo, vincolante, è riuscire a contenere il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2° dal livello pre-industriale», suggerendo l’ambizioso limite di 1,5°. Per centrarlo, le emissioni di gas serra prodotti da attività umane — anidride carbonica, metano, refrigeranti — devono cominciare a calare dal 2020, ma i governi sono liberi di stabilire e raggiungere autonomamente gli obiettivi di riduzione. A partire dal 2023, sono previste ogni cinque anni verifiche indipendenti sui target raggiunti.

 

I firmatari «eccellenti»

Non abbastanza per l’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), il cui ultimo rapporto avverte che per raggiungere l’obiettivo di –2° i Paesi devono ridurre attivamente le emissioni di gas serra di un ulteriore 25% entro il 2030. Altrimenti, la temperatura media salirebbe di 3 gradi. Per la prima volta si sono uniti alla firma Paesi da sempre recalcitranti a intese vincolanti, in particolare Stati Uniti e Cina, ossia i maggiori produttori al mondo di gas serra che avevano rifiutato di aderire al protocollo di Kyoto. Gli Usa, però, potrebbero incontrare una brusca inversione di rotta se il «clima-scettico» Donald Trump dovesse conquistare la Casa Bianca l’8 novembre. E Pechino continua comunque, in ogni sede, a difendere il proprio diritto alla crescita economica, e quindi alla sua quota di inquinamento, e il dovere dei Paesi industrializzati di pagare il conto più alto, per la CO2 immessa finora in atmosfera.

 

Un conto salato

L’Accordo di Parigi lo quantifica in cento miliardi all’anno, a partire dal 2020, somma che i Paesi di «vecchia industrializzazione» sono chiamati ad erogare per diffondere in tutto il mondo le tecnologie verdi e decarbonizzare l’economia globale. La novità è che il trattato prevede esplicitamente che possano contribuire anche fondi e investitori privati. Infine, l’Accordo prevede anche un meccanismo di rimborsi per compensare le perdite finanziarie provocate dai cambiamenti climatici nei Paesi più vulnerabili, una clausola fortemente voluta dalle isole che rischiano di scomparire per l’innalzamento degli oceani, ma utile anche per i numerosi Paesi, spesso i più poveri del pianeta, colpiti da eventi estremi (uragani, tifoni, desertificazione) sempre più frequenti.

Il ritardo italiano

Con la legge di ratifica, approvata in Senato il 27 ottobre scorso, l’Italia ha stabilito di contribuire al Fondo Verde per il Clima con 50 milioni di euro l’anno. «Noi partiamo da una condizione privilegiata rispetto agli altri Paesi — ha commentato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti — perché una buona parte del percorso di riduzione della CO2 l’abbiamo fatta in questi anni, raggiungendo gli obiettivi di Kyoto con cinque anni di anticipo». Il target previsto dall’Unione europea, che impegna tutti i Paesi membri, prevede un taglio complessivo dei gas serra del 40 per cento entro il 2030 rispetto al livello del 1990. Bruxelles ha fissato degli obiettivi per ciascuna nazione, che andranno negoziati con i singoli governi. Roma ha fatto sapere che chiederà di modificarli, perché penalizzanti per il nostro Paese. Eppure, uno studio di Enea, Ispra e ministero dell’Ambiente, diffuso nei giorni scorsi, rileva che con le attuali politiche l’Italia non riuscirà a raggiungere per il 2030 il suo traguardo per la riduzione dei gas serra. Fondamentale sarà l’intervento in tre settori chiave: energia rinnovabile e risparmio energetico, mobilità non inquinante, riqualificazione degli edifici.

 

Le critiche e i risultati

Le critiche degli scienziati sono molte, a livello planetario. L’Accordo di Parigi è stato contestato soprattutto perché non ha fissato un calendario per l’azzeramento delle emissioni, ossia per la progressiva ma totale sostituzione delle fonti energetiche fossili. D’altra parte, la politica dei piccoli passi sembra dare i primi risultati. Basta ricordare gli ultimi successi raggiunti il mese scorso: lo storico accordo per compensare le emissioni di gas serra nel settore aereo, atteso da oltre vent’anni, e quello per limitare i gas refrigeranti Hfc. Ora la palla passa alla Cop22 di Marrakech, dove si svolgerà la prima riunione delle Parti dell’Accordo di Parigi, il 15 novembre, alla presenza del re del Marocco, Mohammed VI, il segretario generale dell’Onu e numerosi capi di Stato e di governo. L’agenda è fitta: tra i temi in discussione la messa in opera dell’Accordo di Parigi, lo sviluppo della sua regolamentazione, i finanziamenti per l’adattamento e l’attenuazione degli effetti dei cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo e — punto chiave — la proposta di una «roadmap» per trovare quei famosi 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Un momento centrale sarà la Marrakech Call to Action, la «chiamata all’azione». «Quello che un tempo sembrava impensabile, ora è inarrestabile — ha già avvertito il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon —. Ora dobbiamo passare dalle parole ai fatti».

 

 

I vip in campo

A Marrakech ci saranno leader e non solo. Già annunciata numerose presenze vip: il «pibe de oro» Maradona, Leonardo di Caprio con il suo documentario Before the Flood (sopra, il trailer), l’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger, che si è fatto precedere da un video che sta infiammando i social network (qui sotto) , il sempreverde Robert Redford e Bono degli U2. Ma gli addetti ai lavori assicurano che tra i protagonisti ci sarà ancora una volta la Cina, con la sua mega-delegazione di oltre 80 negoziatori. E non è un caso che uno dei suoi più alti funzionari in materia climatica si sia permesso nei giorni scorsi di fustigare il candidato repubblicano alle presidenziali Usa Donald Trump, acerrimo nemico dell’Accordo di Parigi: «Un leader politico saggio dovrebbe allinearsi con i trend globali», ha detto il supernegoziatore Xie Zhenhua.

 

di Sara Gandolfi

 

FONTE: http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/11/03/cos-l-accordo-parigi-clima-perche-questa-data-storica-39e8c840-a1b4-11e6-9c60-ebb37c98c030.shtml?refresh_ce-cp

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