Il 2024 premia le rinnovabili, ma il target 2030 è ancora lontano

Gli ultimi dati di Terna per dicembre ci consentono di fare il punto su consumi e produzione elettrica in Italia nel 2024 (report in fondo all’articolo).

La richiesta di elettricità nel nostro paese è cresciuta del 2,2%, pari a poco meno di 6 TWh, rispetto al 2023 (e circa 3 TWh in meno sul 2022). Il fabbisogno annuale di 312,3 TWh è stato coperto dalle fonti rinnovabili con 128,6 TWh, cioè un contributo pari al 41,2%.

Si tratta del record assoluto delle rinnovabili nel nostro paese, come vedremo più avanti, ma ancora lontano dai target fissati al 2030 dal Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima).

Intanto vediamo nel grafico l’andamento della domanda di energia elettrica in Italia dal 2000 ad oggi (dati senza decimali), che da oltre un decennio non supera i 320 terawattora.

In termini di richiesta elettrica su base territoriale, lo scorso anno la variazione sul 2023 del fabbisogno è stata pari al +3% al Centro, +2,1% al Sud, +1,8% al Nord e +1,5% nelle Isole.

La tabella riassuntiva, estrapolata dal rapporto mensile di Terna, fornisce un quadro del mese di dicembre e del 2024 per le diverse fonti elettriche, oltre a un confronto con il 2023.

Come detto, la quota di Fer sulla domanda di energia elettrica è arrivata al 41,2%, il massimo di sempre. Questa percentuale diventa del 48,8% se la consideriamo in proporzione alla produzione elettrica nazionale.

Come si può vedere dal grafico ancora più in basso, le rinnovabili hanno prodotto 15,3 TWh in più rispetto al 2023 e circa 31 TWh in più del 2022.

Nel grafico qui sotto, si può comunque osservare come il divario in termini di percentuale con l’obiettivo intermedio del 2025 e quello del 2030 sia ancora molto ampio.

Con l’aumento della produzione da fonti rinnovabili, si è registrato un calo della generazione termoelettrica del 6,2% in confronto al 2023 (circa 9,7 TWh in meno). Crollo verticale (-71%), invece, dell’energia elettrica prodotta dalle centrali a carbone, in linea con quanto accaduto anche l’anno precedente.

Nel grafico seguente si riporta la produzione di elettricità da rinnovabili degli ultimi 11 anni, a fronte di una domanda sostanzialmente stabile, al netto del picco negativo del 202o collegato alla crisi pandemica.

Analisi per fonte: crescita idroelettrico e FV, calo eolico e bioenergie

Tra le fonti rinnovabili molto bene l’idroelettrico che nel 2024 ha generato 52,1 TWh, pari a 12,1 TWh in più sul 2023 (+30,4%), e addirittura quasi 24 TWh in più del 2022. Il contributo dell’energia idroelettrica è stato del 16,7% sulla domanda (16,2% se consideriamo l’apporto dei pompaggi).

Positivo anche l’andamento del fotovoltaico: +19,3% sul 2023. Dal solare arrivano circa 36,1 TWh, cioè 5,8 TWh in più dell’anno prima. Il record di produzione da FV consente di soddisfare l’11,5% della domanda del 2024.

In calo del 5,6% la generazione da fonte eolica (-1,3 TWh sul 2023, che era stato un anno record), nonostante la buona produzione di dicembre, che va a coprire il 7,1% della domanda.

Ancora in calo le bioenergie (-9,5%) e pressoché stabile il geotermoelettrico (-0,8%); queste ultime due fonti coprono, rispettivamente il 4,2 e l’1,7% del fabbisogno elettrico.

Focus fotovoltaico ed eolico: una crescita ancora insufficiente

L’aumento della produzione da fotovoltaico (36,1 TWh) e il leggero decremento di quella da eolico (22,1 TWh circa), portano a un incremento delle due fonti rinnovabili dell’8,4% sul 2023: insieme hanno prodotto circa 58,1 TWh, pari al 18,6% del fabbisogno elettrico nazionale.

Analizzando il rapporto tra produzione e fabbisogno:

  • il fotovoltaico ha coperto l’11,5% della domanda e il 13,7% della produzione nazionale;
  • l’eolico ha soddisfatto il 7,1% della richiesta e l’8,4% della produzione interna.

Dal 2014, cioè dopo 11 anni, le due fonti hanno prodotto 21,2 TWh in più. Dovranno però generare circa 163 TWh a fine 2030, compiendo un salto di 105 TWh in appena sei anni, cioè pari ad un +181%.

Infatti, come si può intuire dai seguenti due grafici, il fotovoltaico in Italia dovrà incrementare la sua produzione di 2,7 volte entro il 2030 per centrare i target del Pniec.

Mentre la generazione da fonte eolica dovrà aumentare di 2,9 volte. Sia per il fotovoltaico che per l’eolico, anche il target intermedio del 2025, indicato dal Pniec, sembra veramente molto complesso da raggiungere.

Per completare il focus sulla produzione da fotovoltaico ed eolico, ecco l’andamento nell’arco dei diversi mesi del 2024.

In quest’ultimo grafico, vediamo il peso di ciascuna fonte sul totale dell’apporto di tutte le rinnovabili: fotovoltaico ed eolico rappresentano circa il 45,2% della produzione, in diminuzione rispetto al 2023 anche per l’importante crescita dell’idroelettrico.

 

di Leonardo Berlen

Fonte https://www.qualenergia.it/articoli/anno-2024-premia-rinnovabili-ma-target-2030-ancora-lontano/

Decessi dimezzati e zero pedoni uccisi nel 2024: successo per Bologna Città 30

“Nessun pedone a Bologna nel 2024 è stato ucciso” e “nessuno in quest’anno ha perso il posto di lavoro” per la Città 30. Parola del sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che dati alla mano ha presentato i risultati del 1° anno di sperimentazione della zona con limite di velocità a 30 km/h in quasi tutte le strade urbane.

 

I risultati forniti dal Comune sono ottimi e sembrano smentire le critiche piovute sull’iniziativa, che avevano visto tra i protagonisti anche il ministro dei Trasporti Matteo Salvini in prima persona. “Credo che tutta la città debba esserne orgogliosa, favorevoli e contrari, tutti hanno contribuito a un risultato che ora va mantenuto”, commenta l’assessore alla Nuova Mobilità, Michele Campaniello.

 

Cos’è Bologna Città 30

Il capoluogo emiliano è la prima città in Italia a implementare il modello Città 30, una trasformazione radicale della gestione del traffico urbano.

 

Il 13 giugno 2023, la giunta comunale guidata da Lepore aveva approvato il Piano particolareggiato del traffico urbano “Bologna Città 30”. Il piano prevede l’estensione del limite di velocità a 30 km/h sulla maggior parte delle strade comunali a partire da gennaio 2024, con alcune eccezioni per le strade a maggiore scorrimento, dove il limite è rimasto a 50 km/h.

 

La decisione si basa anche su un’analisi costi-benefici realizzata dalla società Polinomia, seguendo le linee guida del ministero dei Trasporti per questo genere di analisi. Tra i fattori considerati figurano la riduzione delle velocità delle auto, aumento dei tempi di percorrenza per ogni veicolo pubblico e privato; riduzione degli incidenti; riduzione del traffico automobilistico; aumento della mobilità attiva ovvero bici e tragitti a piedi.

 

Il risultato dell’analisi spiegava che i benefici superano i costi se il limite di 30 km/h è imposto alla maggior parte della città.

 

Dal 1° luglio 2023, il comune ha avviato la transizione con l’installazione della nuova segnaletica e dei cartelli stradali, e l’adozione delle ordinanze necessarie per rendere operativo il nuovo limite di velocità. Le nuove regole sono entrate ufficialmente in vigore il 16 gennaio 2024.

 

Un anno di Città 30 a Bologna: i dati sulla sicurezza stradale

I numeri della sicurezza stradale vanno nella direzione auspicata. L’obiettivo principale di Bologna Città 30, infatti, era la riduzione drastica dei decessi sulle strade urbane.

 

I dati dicono che i decessi si sono dimezzati. Nel primo anno di attuazione, le persone decedute in incidenti stradali sono calate del 49% (10 nel 2024 rispetto a una media di 19,5 nei due anni precedenti). E nessun pedone è stato ucciso, evento senza precedenti dal 1991. Calano anche i pedoni investiti, -16%.

 

L’abbassamento del limite di velocità, anche solo da 50 a 30 km/h, è normalmente considerato una misura importante per ridurre il numero degli incidenti mortali. E a velocità ridotta migliorano i tempi di reazione di chi è alla guida, riducendo il rischio di incidenti in generale.

 

Più in dettaglio, il comune ha fornito questi dati sulla riduzione di incidenti e feriti nel 2024:

 

Incidenti totali: -13,1% (371 in meno rispetto alla media 2022-2023).

Feriti: -11,08% (269 persone ferite in meno).

Incidenti con feriti: -9,78%.

Incidenti senza feriti: -20,71%.

Incidenti gravi (codice rosso): -31%.

Incidenti di media gravità (codice giallo): -4,1%.

Incidenti lievi (codice verde): +8,3%.

Pedoni coinvolti: -16% (da 376 a 316).

Ciclisti coinvolti: +5,9% (da 409 a 433), dato attribuibile al maggiore uso della bicicletta (+10%).

Quali sono le cause principali di incidenti a Bologna? La velocità eccessiva (40,3%) resta il 1° fattore, seguito da mancata precedenza (19,9%), manovre scorrette (11%), violazioni semaforiche (9,2%) e guida sotto l’effetto di alcol/droga (5,3%).

 

Come è cambiato il traffico a Bologna con il limite a 30 km all’ora

L’altro grande effetto della zona 30 è un cambiamento dei flussi di traffico, con ricadute sulle scelte di mobilità dei cittadini. I dati forniti dal comune fotografano una situazione in linea con le attese.

 

Il traffico veicolare cala del -5% su base annua (oltre 11.000 veicoli in meno al giorno nei giorni feriali). Flessione ancora più marcata, -7%, confrontando il 2024 con il solo 2023.

 

Cambiano le modalità di spostamento con un aumento della mobilità sostenibile:

 

Biciclette: +10% di flussi (+140.000 passaggi nei punti monitorati).

Bike sharing: +69% (1.275.558 corse in più, superati i 3 milioni di utilizzi).

Car sharing: +44% (da 47,5 a 68,6 noleggi medi mensili per auto).

Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM):

+17% di viaggi complessivi nell’area metropolitana.

+31% di viaggi nelle stazioni urbane di Bologna.

Trasporto pubblico su gomma resta stabile rispetto al 2023, ma in crescita rispetto al 2022.

Limite di velocità a 30 km/h, l’impatto sull’inquinamento

La qualità dell’aria ha beneficiato dell’introduzione della zona 30, dicono i dati del comune. Che si concentra soprattutto sulla riduzione del biossido di azoto (NO2): -29,3% rispetto alla media 2022-2023. Il valore medio orario di 29 µg/m3 nel 2024 è il più basso degli ultimi 10 anni.

 

Questo inquinante è principalmente legato al traffico urbano, il che lo rende il miglior indicatore per valutare la Città 30, spiega il comune di Bologna: l’NO2 “è tipicamente il “marcatore” dei processi di combustione locali: infatti, a differenza delle polveri sottili, che si caratterizzano per una maggiore varietà di origine e tendenza a diffondersi, l’NO2 invece ha come fonte primaria le emissioni dei veicoli a motore endotermico e del riscaldamento e resta più concentrato in prossimità delle principali sorgenti di emissione, in particolare le strade ad intenso traffico e il centro abitato”.

 

Fonte https://www.rinnovabili.it/mobilita/smart-mobility/citta-30-1-anno-bologna/

Anbi, la situazione idrica migliora, rimane deficit al Sud

La situazione delle riserve idriche in Italia "registra un incoraggiante miglioramento, ma non cessano le preoccupazioni per il futuro, a causa dell'insufficiente presenza di bacini per la raccolta delle acque, ma soprattutto perché in alcune regioni dell'Italia meridionale lo stato delle riserve idriche è ancora ben lontano dal recuperare l'enorme deficit accumulato a causa di una lunghissima siccità". Lo scrive Massimo Gargano, direttore generale dell'Anbi, l'associazione dei consorzi di bacino, nel bollettino settimanale sulla situazione idrica in Italia.

 

In Basilicata sono affluiti, negli invasi, oltre 18 milioni di metri cubi d'acqua, aggiungendosi ai quasi 28 milioni, che avevano ristorato i bacini semivuoti a cavallo tra 2024 e 2025: ancora pochi per colmare il gap con il 2023 (-93 milioni di metri cubi), ma quantomeno un timido segnale. In Sicilia il mese di dicembre ha regalato piogge abbondanti su buona parte dell'isola con un significativo miglioramento della situazione dei bacini ormai svuotati da oltre un anno di siccità estrema e caldo anomalo. Anche sull'Isola, però, lo scarto negativo rispetto a 12 mesi fa rimane enorme e quantificabile in oltre 100 milioni di metri cubi. Molta parte della Sardegna è ancora in grave crisi d'acqua: complessivamente l'incremento dei volumi idrici, avvenuto nel mese di dicembre, è quantificabile in 32 milioni di metri cubi, ma in diversi territori gli invasi rimangono drammaticamente vuoti come nel Nord-Ovest dell'isola. Altra regione, che stenta ad uscire dalle conseguenze della siccità, è la Puglia: i circa 44 milioni di metri cubi ancora stoccati nei bacini nella Capitanata (a Dicembre le riserve sono incrementate di soli 11 milioni) equivalgono indicativamente al 13% della loro capacità ed al 30% dell'acqua disponibile un anno fa.

 

Fonte https://ambiente.tiscali.it/news/articoli/anbi-situazione-idrica-migliora-rimane-deficit-sud/

Il nuovo clima cancella la neve: dobbiamo imparare a vivere senza?

Meno neve ‘vera’ e più ‘finta’ (artificiale). Ma soprattutto meno neve. Lo ‘dice’ anche un albero-sentinella delle montagne: il ginepro comune (Juniperus communis L.) arbusto che cresce lentamente, e benché longevo -spesso pluricentenario- sopra i 2.000 metri in montagna si sviluppa per pochi decimetri da terra con portamento strisciante a causa di vento, gelo, neve. E di conseguenza viene facilmente sepolto fin dalle prime nevicate autunnali. Più la neve si mantiene a lungo, meno l’arbusto compie fotosintesi e cresce. Viceversa, meno neve cade, più l’arbusto cresce, “ed è quello che sta succedendo sulle montagne”, avvisa Legambiente. È solo l’ulteriore conferma del fatto che Alpi e Appennini si imbiancano sempre meno a causa della crisi climatica: “Il manto nevoso è sempre più effimero”. Soffrono soprattutto le Alpi: studi recenti dicono che c’è un mese in meno rispetto al passato con la presenza di neve per colpa dell’aumento del riscaldamento atmosferico di circa due gradi. In questi giorni a Bologna si ricorda l”anniversario’ della nevicata del 1985: c’era la gente con gli sci per strada… Ma l’attualità è più d’impatto: la quantità di neve è diminuita del 50% rispetto a 100 anni fa e un innevamento affidabile sotto i 2.000 metri è meno garantito. L’anno scorso, in pieno inverno, ci sono state piste da sci di fondo rimaste ‘verdi’ e rifugi che a primavera erano irraggiungibili a piedi per la neve caduta in abbondanza fuori stagione. Ma neanche quelle nevicate tardive hanno portato i benefici sperati, dice Legambiente in vista della giornata mondiale della neve, che cade domenica 19 gennaio. Tra chi tocca con mano in montagna e chi studia il fenomeno (come la Fondazione Cima), il responso non cambia: c’è meno neve ad alta quota ma anche a valle. E così si ricorre a quella ‘sparata’.

 

IN ITALIA IL 90% DELLE PISTE È INNEVATO ARTIFICIALMENTE

 

L’Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente. Ma per Legambiente non è detto che questa sia la ‘pista’ giusta da seguire: con la mancanza di neve si deve fare i conti senza ‘scorciatoie’, serve “una maggiore presa di coscienza e confronto da parte delle località alpine e appenniniche sulla diminuzione delle nevicate e sugli effetti della crisi climatica. “Occorre ‘vivere’ la montagna d’inverno in modo più sostenibile senza rincorrere la neve“, occorre “investire su un’offerta turistica invernale montana che punti su un turismo slow e dolce celebrando la bellezza della neve naturale con sobrietà e con mezzi altrettanto naturali”. Senza dimenticare “politiche e strategie di mitigazione e di adattamento a livello nazionale e territoriale”. È uno studio pubblicato a dicembre 2024 sull’International Journal of Climatology, condotto da ricercatori dell’Università di Trento e dell’Eurac Research di Bolzano, sulle Alpi italiane a dire la quantità di neve è diminuita del 50% rispetto a 100 anni fa.

 

IN 100 ANNI LA NEVE È CALATA DEL 34%

 

In particolare, tra il 1920 e il 2020, la neve è calata del 34%, con differenze marcate tra le Alpi settentrionali e quelle sudoccidentali: rispettivamente -23% e quasi -50%. Conferme analoghe provengono da uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Nature Climate Change che ha rivelato come il manto nevoso nelle Alpi centrali non sia mai stato così effimero negli ultimi seicento anni. Inoltre, nell’ultimo secolo, la durata della neve si è accorciata in media di un mese perché il riscaldamento atmosferico è salito di circa due gradi; dato a cui i ricercatori sono arrivati studiando appunto il ginepro. Ma anche i fiumi ‘assetati’ confermano che manca la neve.

 

I PROBLEMI DI ACQUA E LE RIPERCUSSIONI

 

Stando a dati della Fondazione Cima, Po e Adige sette giorni fa avevano un deficit idrico del 61% di neve, misurato in termini di equivalente idrico nivale. Sugli Appennini, nonostante le abbondanti nevicate, il caldo scioglie la neve e questo crea “forti squilibri nei corsi d’acqua“: Legambiente indica l’esempio del Tevere, che ha registrato un passaggio da un deficit del 24% a dicembre a un impressionante -88% a gennaio. Sono ben più dei due indizi che fanno una prova. A causa del riscaldamento globale, dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, “stiamo assistendo a una riduzione costante e senza precedenti del manto nevoso. Oggi non vedere il cambiamento in atto e non modificare di conseguenza abitudini e modalità di fruizione degli ambienti montani nei mesi invernali, crea ripercussioni destinate ad impattare su ambiente ed economie locali. Per questo è fondamentale una maggiore presa di coscienza di quanto sta accadendo in alta quota ma anche a valle“. Si ascoltino gli esperti, si scriva una road map europea, per affrontare questa situazione; e, ad esempio, per proteggere “importanti e fragili ecosistemi, insieme ai ghiacciai”. Poca neve e ghiacciai rimpiccioliti significano molta meno acqua per tantissima gente, specie nelle stagioni calde, dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di Cipra Italia: le catene montuose sono le “torri d’acqua del mondo”. Una riduzione persistente della quantità e della durata della neve “produrrà probabilmente effetti profondi sugli ecosistemi, con gravi ripercussioni a cascata sul benessere umano e sulla fruibilità della montagna. Questo aspetto non può più essere ignorato nella pianificazione politica della gestione delle risorse idriche, con una particolare attenzione alle Alpi come agli Appennini”, aggiunge infine Bonardo.

 

Fonte https://www.ore12.net/il-nuovo-clima-cancella-la-neve-dobbiamo-imparare-a-vivere-senza/

La green economy è sinonimo di competitività, dall’automotive alla finanza

Con l’arrivo di Trump alla presidenza Usa, il prossimo lunedì, è facile pronosticare che si aprirà una nuova fase del negazionismo climatico a tutto favore delle fonti fossili, di cui The Donald è da sempre grande estimatore. Per la comunità internazionale non sarà facile mantenere dritta la barra della transizione ecologica, ma non è affatto scontato che per l’economia verde si apra un percorso in retromarcia. Per un semplice motivo: le tecnologie green, oltre che più sostenibili, sono anche più competitive.

 

Guardando agli indici di mercato, come fa oggi il Sole 24 Ore, emerge chiaramente che più si allunga l’orizzonte temporale osservato e più è alto il guadagno per i prodotti green. Non è una sorpresa, perché sostenibile per definizione significa capace di essere mantenuto nel tempo, ma è una realtà che emerge chiaramente guardando agli andamenti finanziari.

 

«L’indice S&P 500 Esg, da inizio 2020 a oggi, ha registrato una performance del +104% contro il +95% dell’omologo non Esg», evidenzia il Sole, dove per Esg s’intendono i fattori di responsabilità ambientale, sociale e di governance. «Ancor meglio – continua il quotidiano di Confindustria – nello stesso periodo ha fatto l’indice Msci World Esg rispetto a quello specializzato in armi (Msci World Defense): +72,7% contro +45,5% […] Come dimostrato da centinaia di studi universitari, più si allunga il periodo di osservazione, più pesa il fattore sostenibilità. Che poi è un contenimento dei rischi extrafinanziari».

 

Gli esempi sono molteplici: un’impresa più sostenibile riesce infatti a gestire meglio i costi di materie prime ed energia, a ottenere finanziamenti a migliori condizioni, risponde in modo proattivo ai rischi climatici come gli eventi meteo estremi, gode di un più alto livello reputazionale tra gli stakeholder e coltiva un elevato capitale umano. Tutti fattori decisivi per la redditività sul medio e lungo termine.

 

La sostenibilità è inoltre motore d’innovazione, come emerge da un’analisi non superficiale della crisi che ormai pervade la filiera automotive europea e italiana in particolare. Sono le stesse case automobilistiche a dichiarare che il problema non è il Green deal, ma semmai la carenza di politiche industriali a supporto; un fattore cui si aggiungono le crescenti disuguaglianze nel tessuto sociale, che rendono ormai difficile acquistare auto dal prezzo medio superiore a 30mila euro.

 

«La perdita di competitività dell’auto europea non è quindi dovuta all’effetto di una regolazione “ideologica” – argomenta nel merito sul Menabò di Etica ed economia Sergio De Nardis, oggi senior fellow di Luiss Institute for European Analysis and Policy e già direttore dell’analisi macroeconomica dell’Upb oltre che dirigente del Centro Studi Confindustria – Vi ha concorso quel che appare come un lock-in nella vecchia tecnologia, alimentato da scelte strategiche miopi, obiettivi di alta redditività nel breve periodo, sottovalutazione delle capacità innovative dei competitori e, anche, una regolazione a lungo non incisiva, preda degli interessi dei maggiori produttori (Pardi 2020). Ma quel che maggiormente conta, ancor più della crisi di un settore, è che tutto ciò ha procurato un danno ambientale, frenando il percorso di riduzione delle emissioni. Attribuire la crisi dell’auto a un difetto di neutralità tecnologica – prospettando l’esistenza di trade-off tra clima e salvaguardia del modo europeo di fare auto – non fa che prolungare questa nociva tendenza, con colpevole sottovalutazione di quel che la scienza del clima va dicendo da tempo sul riscaldamento climatico. Il futuro della decarbonizzazione dell’auto è, in tutte le aree, nell’elettrificazione (oltre alle dinamiche cinesi, è da ricordare che 12 stati Usa hanno fissato nel 2035 la fine dell’endotermico). Affermare che l’auto europea, con le sue interdipendenze produttive e la necessità di sbocchi nei mercati in rapida crescita, abbia ancora a disposizione un percorso diverso è, questo sì, ideologico. Il Green deal è essenziale per la mitigazione climatica secondo le indicazioni dell’accordo di Parigi; può essere anche funzionale al recupero di almeno parte del gap tecnologico accumulato, per le loro stesse scelte, dai produttori di auto europei».

 

Fonte https://www.greenreport.it/news/green-economy/4780-la-green-economy-e-sinonimo-di-competitivita-dallautomotive-alla-finanza

 

 

 

 

 

Alberi, un italiano su tre non sa che assorbono CO2

Quasi 3 italiani su 4 (73%) sanno che gli alberi abbassano la temperatura laddove sono piantati, limitando la formazione delle cosiddette 'isole di calore'. Allo stesso tempo, quasi 1 su 5 non sa che gli alberi sono in grado di mitigare gli effetti della pioggia intensa e di limitare gli allagamenti, mentre 1 su 3 ignora che gli alberi nelle città sono in grado di assorbire la CO2. Sono alcuni dei dati emersi da una ricerca elaborata dalla divisione Annalect di Omnicom Media Group per Prospettiva Terra, il progetto non-profit fondato dal Stefano Mancuso, accademico e divulgatore scientifico, e da Marco Girelli, Ceo di Omnicom Media Group Italia, con la partecipazione di realtà quali McDonald's, Henkel, Ricola, Acone Associati, Publitalia'80 ed il contributo di Pnat, come partner scientifico, e Bam-Biblioteca degli Alberi di Milano, come Botanical Partner, con l'obiettivo di affrontare insieme il problema del riscaldamento globale.

 

L'indagine, realizzata su un campione di 1.000 intervistati residenti in cinque grandi città italiane, Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, ha l'obiettivo di investigare il grado di conoscenza dei cittadini sul ruolo che gli alberi ricoprono nel contrastare e mitigare gli effetti del cambiamento climatico in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi (21 novembre).

 

Giovani meno preparati

Nel dettaglio, si scopre che 6 italiani su 10 affermano che le foreste molto estese nel mondo sono in grado di assorbire grandi quantità di CO2, consapevolezza che cala, a sorpresa, sul target dei giovani 18-24enni (58%), sempre attenti ai temi ambientali, rispetto a quello dei 55-64enni (65%). "Sappiamo ancora troppo poco del nostro pianeta e questa ricerca ce lo dimostra - afferma Mancuso - Il disastro di Valencia o le alluvioni in Emilia-Romagna e in Sicilia, tanto per citare i gravi fatti più recenti, ci impongono un'azione forte e non più rimandabile. Il 2024 sarà l'anno più caldo di sempre ed il primo con una temperatura media globale di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali. Per questo bisogna educare le persone, fare formazione e informazione su come proteggere il nostro pianeta e limitare i danni: questo è l'obiettivo di Prospettiva Terra, con cui stiamo costruendo un modello cooperativo e diffuso, simile alle reti vegetali, in cui delle imprese private decidono di farsi carico del futuro che ci aspetta, lavorando nell'unica direzione possibile, ossia la partecipazione diretta a progetti di innovazione scientifica".

 

Diffusione del verde, centro vs periferie

Tre abitanti su 4 dichiarano che nel proprio quartiere gli alberi sono molto o abbastanza diffusi (75%). Tuttavia, i dati sono molto diversi da città a città: a Torino e a Roma la percentuale è del 90%, a Milano dell'80%, a Palermo del 63% e a Napoli soltanto del 51%. In effetti, Torino ha la più alta percentuale della superficie comunale occupata da aree verdi (18,2%), mentre Palermo si ferma al 4,8%. Inoltre, la percezione cambia anche in base alla zona della città in cui si vive: il dato è più forte man mano che dal centro (72%) ci si avvicina al semi-centro della città (75%), fino alla periferia (77%). In particolare, la percezione della forte presenza degli alberi cresce, anche fino al 30%, in periferia, mentre nelle aree centrali e semi-centrali si attesta intorno al 20%.

 

Non a caso, dunque, Napoli e Palermo sono le città in cui gli alberi sono più desiderati (rispettivamente 93% e 87%). Sebbene nelle altre città gli alberi sono percepiti come più presenti, le percentuali restano alte: a Torino e a Milano la percentuale di chi vorrebbe più verde in città si attesta intorno al 75% e a Roma al 69%. L'altro dato molto rilevante è quello della posizione rispetto alla città: il desiderio di avere più alberi, senza differenze sostanziali tra nord, centro e sud, è molto più sentito nel centro della città (87%) rispetto al semi-centro (80%) e, soprattutto, rispetto alla periferia (68%) dove la presenza degli alberi è tipicamente più forte.

 

'Preferita' la quercia

Scelta da oltre 6 italiani su 10, la quercia risulta essere l'albero che più di tutti, nell'immaginario collettivo, è in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico, superando nettamente l'abete (39%) ed il pino (37%). Fuori dal podio sono i tigli (25%), i cipressi (24%) e i frassini (23%).

 

"Le piante sono vere e proprie macchine in grado di stoccare CO2 nei propri tessuti legnosi e assorbire alcuni inquinanti atmosferici, come il monossido di carbonio ed il particolato atmosferico - afferma Camilla Pandolfi, Ceo e R&D Manager Pnat - La farnia, ovvero la quercia più conosciuta (Quercus robur), è un albero in natura molto longevo ed è in grado di apportare numerosi benefici nell'arco della sua vita. Anche tigli e frassini sono in realtà molto performanti per quanto riguarda la rimozione degli inquinanti, grazie a particolari caratteristiche delle foglie e dei rami che permettono alle particelle fini di depositarsi sulla loro superficie, rimuovendole così dall'atmosfera. Non dimentichiamoci però delle specie sempreverdi (abeti, pini e cipressi) che, a differenza degli alberi caducifoglie, mantengono la chioma fogliata tutto l'anno e apportano notevoli benefici ambientali anche nei mesi in cui le altre piante sono meno attive, ovvero durante la stagione invernale".

 

 

Alberi alleati del benessere

Una cosa sicuramente mette tutti d'accordo da nord a sud: l'idea che essere circondati da alberi possa donare benessere mentale, serenità e gioia, per la quasi totalità del campione (96%). Napoli, una delle due città che lamentano una scarsa presenza di alberi, è quella in cui viene associata di più agli alberi l'idea di maggior aiuto per il benessere mentale e la serenità. E quando agli italiani viene chiesto quali pensieri e stati d'animo associano agli alberi, in generale, la risposta è un sentimento di serenità e di leggerezza: la prima idea, infatti, è quella del relax (33%), seguita dalla purezza (22%) e dai concetti di forza (17%), spiritualità (9%) e gioia (7%).

 

Fonte https://www.adnkronos.com/sostenibilita/alberi-e-clima-un-italiano-su-tre-non-sa-che-piante-assorbono-co2_6XtdR5yQRh7UlX5rEf9DDj?refresh_ce