Mercoledì, il Parlamento ha approvato una nuova legge per sostenere la diffusione di carburanti sostenibili, come i biocarburanti avanzati o l’idrogeno, nel settore dell’aviazione.
Le nuove norme RefuelEU sui carburanti sostenibili per l’aviazione sono state adottate con 518 voti a favore, 97 voti contrari e 8 astensioni. Il testo è già stato concordato con i governi UE e quindi questa è la votazione finale del Parlamento.
Le norme fanno parte del pacchetto “Fit for 55 – Pronti per il 55%”, il piano dell’UE per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e per garantire che l’UE diventi neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. L’obiettivo è incoraggiare il settore dell’aviazione a utilizzare carburanti sostenibili per ridurre le emissioni.
Tempistica ambiziosa
I deputati hanno ottenuto, durante i negoziati, una tempistica ambiziosa per l’introduzione dei nuovi mix di carburanti per aerei, che obbligherà gli aeroporti e i fornitori di carburante dell’UE a garantire che, a partire dal 2025, almeno il 2% dei carburanti sia ecologico. Tale quota aumenterà ogni cinque anni: 6% nel 2030, 20% nel 2035, 34% nel 2040, 42% nel 2045 e 70% nel 2050. Inoltre, una percentuale specifica del mix di carburanti (1,2% nel 2030, 2% nel 2032, 5% nel 2035 e progressivamente 35% nel 2050) dovrà essere costituita da carburanti sintetici come l’e-kerosene.
Cosa si intende per “verde”?
Secondo le nuove norme, il termine “carburanti sostenibili per l’aviazione” includerà i carburanti sintetici, alcuni biocarburanti prodotti da residui agricoli o forestali, alghe, rifiuti organici, olio da cucina usato o alcuni grassi animali. Sono considerati “verdi” anche i carburanti per aerei riciclati prodotti dai gas di scarico e dai rifiuti di plastica.
I deputati hanno ottenuto che i carburanti a base di mangimi e colture alimentari e i carburanti derivati da palma e soia non siano classificati come “verdi” in quanto non soddisfano i criteri di sostenibilità. Sono inoltre riusciti a includere l’idrogeno rinnovabile tra i carburanti sostenibili, una tecnologia che potrebbe contribuire progressivamente alla decarbonizzazione del trasporto aereo.
Nuovo bollino per gli aerei
Per promuovere la decarbonizzazione nel settore dell’aviazione e per informare meglio il pubblico, i deputati hanno assicurato che, a partire dal 2025, ci sarà un’etichetta UE per le prestazioni ambientali dei voli. Le compagnie aeree potranno commercializzare i loro voli con un’etichetta che indicherà l’impronta di carbonio prevista per passeggero e l’efficienza di CO2 prevista per chilometro. Ciò consentirà ai passeggeri di confrontare le prestazioni ambientali dei voli operati da compagnie diverse sulla stessa rotta.
Il relatore del Parlamento José Ramón Bauzá Díaz (Renew, ES) ha dichiarato: “Questo è un enorme passo avanti verso la decarbonizzazione dell’aviazione. È ora che i governi dell’UE attuino le nuove norme e sostengano l’industria per garantire una diffusione economicamente efficiente dei carburanti sostenibili per l’aviazione in tutta Europa e per raggiungere gli obiettivi dell’UE. Non c’è tempo da perdere. In un mondo complesso e competitivo, sono pienamente convinto che ReFuelEU rappresenti una grande opportunità per posizionare l’Unione Europea come leader globale nella produzione e nell’uso dei carburanti sostenibiliʺ.
Fonte https://www.ferpress.it/parlamento-ue-70-dei-carburanti-per-aerei-negli-aeroporti-ue-dovra-essere-verde-entro-2050/
Un 42,5% vincolante di rinnovabili, ma si guarda sempre al 45% entro la fine del decennio
Entro il 2030 la quota di fonti energetiche rinnovabili nel mix dei consumi finali deve salire ad una quota vincolante del 42,5% entro il 2030, ma l’obiettivo rimane il 45%.
Così si è espresso il Parlamento europeo nell’aggiornamento della direttiva europea sulle energie rinnovabili (RED III), già concordato tra gli eurodeputati e i membri del Consiglio.
La legislazione, che è stata approvata in via definitiva con 470 voti a favore e 120 contrari, prevede anche un più deciso processo di semplificazione delle pratiche amministrative per l’avvio dei lavori dei nuovi impianti di fonti energetiche rinnovabili, come l’installazione di pannelli solari e pale eoliche, o l’ammodernamento dei quelli già esistenti.
Bruxelles meno burocratica e più pragmatica sulle rinnovabili
“Le autorità nazionali non potranno impiegare più di 12 mesi per autorizzare la costruzione di nuovi impianti di energia rinnovabile situati nelle cosiddette “zone di riferimento per le energie rinnovabili“. Al di fuori di queste zone, la procedura non potrà superare i 24 mesi”, si legge nel comunicato del Parlamento europeo.
Una legislazione che punta non solo a potenziare e accelerare il percorso di decarbonizzazione in Europa, ma anche a favorire un maggiore livello di indipendenza energetica dall’estero, proprio a partire dal sole, il vento e le altre fonti energetiche rinnovabili: “Questa direttiva dimostra che Bruxelles può essere poco burocratica e molto pragmatica. Abbiamo designato le energie rinnovabili come interesse pubblico prevalente, snellendo il loro processo di approvazione. L’attenzione è rivolta all’energia eolica, fotovoltaica, idroelettrica, geotermica e alle correnti di marea. La biomassa da legno rimarrà classificata come energia rinnovabile. In base al principio del “silenzio assenso”, gli investimenti saranno considerati approvati in assenza di riscontri amministrativi contrari. Ora abbiamo urgentemente bisogno di una riforma del mercato dell’elettricità dell’UE e di un passaggio immediato all’idrogeno per una transizione più verde“, ha dichiarato il relatore, Markus Pieper (PPE, Germania).
Dai progetti green transfrontalieri ai biocarburanti avanzati, l’idrogeno e le biomasse
Agli Stati membri è stato inoltre chiesto di fissare un obiettivo indicativo per le tecnologie innovative pari ad almeno il 5% della capacità di energia rinnovabile di nuova installazione, nonché un quadro vincolante per i progetti energetici transfrontalieri.
Per i trasporti si punta molto sulle rinnovabili per raggiungere una riduzione del 14,5% delle emissioni di gas serra, sempre entro il 2030, grazie a una quota maggiore di biocarburanti avanzati e a una quota più ambiziosa di carburanti rinnovabili di origine non biologica, come l’idrogeno.
Infine, le nuove misure vanno a sostegno dell’uso della biomassa, ma garantendo che l’UE non sovvenzioni tecnologie non sostenibili. Infatti, la raccolta di biomassa dovrà essere effettuata in modo da evitare impatti negativi sulla qualità del suolo e sulla biodiversità.
Cosa sono i biocarburanti avanzati
Un punto quest’ultimo che dobbiamo tenere bene a mente, visto che si definiscono biocarburanti avanzati, noti anche come biocarburanti di seconda generazione, quei carburanti che possono essere ottenuti a partire da vari tipi di biomasse non alimentari.
Biomassa, in questo contesto, significa materiali vegetali e scarti animali utilizzati come fonte di combustibile. Per questo bisogna sempre tenere in massima considerazione la centralità della salvaguardia dei suoli e dei terreni da lasciare ai margini, come risorsa per un livello sufficiente di biodiversità.
I biocarburanti di prima generazione sono costituiti da materie prime di amidi di zucchero (ad esempio, canna da zucchero e mais) e materie prime di olio commestibile (ad esempio, olio di colza e di soia), che vengono convertite rispettivamente in bioetanolo e biodiesel.
I biocarburanti di seconda generazione sono prodotti da varie materie prime e pertanto possono richiedere tecnologie diverse per estrarne energia utile. Le materie prime di seconda generazione includono biomasse lignocellulosiche o colture legnose, residui o scarti agricoli, oppure colture non alimentari energetiche coltivate su terreni marginali inadatti alla produzione alimentare.
L’Italia potrebbe fare molto di più con il solare, ma si accontenta dei biocarburanti
Nei giorni scorsi, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato la centralità dei biocarburanti per il nostro Paese. Non il sole, il vento e la forza dell’acqua (in particolare del mare, di cui siamo circondati), più in generale le fonti rinnovabili, come punti chiave di svolta nel nostro percorso verso la decarbonizzazione e una nuova e più decisa transizione energetica, ma gli scarti vegetali (che al massimo potrebbero essere risorse secondarie in un contesto del genere) e di altra natura, magari provenienti dal settore agricolo.
Come spiegato dallo stesso Pichetto Fratin, l’obiettivo è sempre quello di difendere il motore endotermico delle auto attualmente in circolazione dall’avanzata del motore elettrico: “Se vogliamo una mobilità realisticamente pronta a traguardare gli obbiettivi ambientali, dobbiamo prevedere un percorso ambizioso e pragmatico, che tenga conto dei principi di neutralità ambientale e di flessibilità nei tempi di attuazione delle misure. L’ “Alleanza Globale per i biocarburanti” è una piattaforma su scala sovranazionale per intensificare la collaborazione fra produttori, consumatori e Paesi interessati a promuovere lo sviluppo di una tecnologia che può aprire grandi opportunità di sviluppo nel settore dell’automotive, senza smembrare quella produzione di motori endotermici“.
di Flavio Fabbri
Fonte https://www.key4biz.it/rinnovabili-leuroparlamento-fissa-il-target-45-entro-il-2030-snellire-le-pratiche-per-i-nuovi-impianti/459208/
Secondo lo studio ““Coevolution of Extreme Sea Levels and Sea-Level Rise Under Global Warming”, pubblicato su Earth’s Future dell’ American Geophysical Union (AGU) da Hamed Moftakhari, Georgios Boumis e Hamid Moradkhani dell’università dell’Alabama – Tuscaloosa, «La maggior parte delle comunità costiere andrà incontro ogni anno a inondazioni centenarie entro la fine del secolo, anche in uno scenario moderato in cui le emissioni di anidride carbonica raggiungeranno il picco entro il 2040. E già nel 2050, le regioni di tutto il mondo potrebbero subire inondazioni centenarie, in media ogni 9 – 15 anni».
Un’alluvione secolare è un livello estremo dell’acqua che ha l’1% di probabilità di essere superata in un dato anno e si basa su dati storici. Nonostante il loro nome, le inondazioni ogni 100 anni possono colpire la stessa area per più anni consecutivi o non colpirla affatto nell’arco di un secolo. Ma il nuovo studio rileva che «Queste tendenze storiche non forniranno più una prospettiva accurata per le inondazioni future».
Moftakhari spiega che «In un clima più caldo, la soglia che prevediamo venga superata in media una volta ogni cento anni verrà superata molto più frequentemente fino a quando non saranno più considerati eventi centenari».
All’AGU ricordano che «Sulla costa, le inondazioni estreme possono essere causate dall’acqua spinta verso l’interno da tempeste, maree e onde, ma questo studio si concentra su un componente che contribuisce alle inondazioni su una scala temporale molto più lunga: l’innalzamento del livello del mare. Man mano che il mare più alto si avvicina alle coste, le infrastrutture costiere saranno più vicine all’acqua, aumentando le probabilità che tempeste, maree e onde abbiano un impatto sulle comunità».
Per condurre analisi dei trend e stimare i futuri livelli estremi del mare in due scenari di emissioni di carbonio delineati dall’International Panel on Climate Change (IPCC), i ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da più di 300 misuratori di marea in tutto il mondo: con le emissioni di anidride carbonica continueranno ad aumentare fino alla fine del secolo e con le emissioni di anidride carbonica che raggiungeranno il picco entro il 2040 per poi diminuire. E hanno scoperto che «In entrambi gli scenari l’innalzamento del livello del mare porterà ad un aumento degli eventi di inondazioni su base centenaria nella maggior parte delle località studiate».
Per Moftakhari, «Un approccio proattivo alla pianificazione del territorio, allo sviluppo urbano e alle misure di protezione costiera potrebbe aiutare le comunità a ridurre le inondazioni ed evitare i disastri e questo inizia con previsioni realistiche delle future condizioni costiere»
Gli ingegneri che progettano strutture come dighe marine, dighe marine e frangiflutti per proteggere le comunità da queste inondazioni estreme si affidano a un concetto noto come stazionarietà per prevedere i futuri livelli dell’acqua. Moftakhari fa notare che «Nella stazionarietà, presumiamo che i modelli che abbiamo osservato in passato rimarranno invariati in futuro, ma ci sono molti fattori legati al cambiamento climatico che stanno modulando questi modelli. Non possiamo più presumere la stazionarietà delle inondazioni costiere».
Per prevedere le inondazioni centenarie, gli studi precedenti si basavano su stime stazionarie dei livelli estremi del mare, ma questo studio ha utilizzato metodi non stazionari e ha scoperto che «Lo spostamento dei livelli estremi del mare non sarà uniforme per molte posizioni dei mareografi». All’AGU sottolineano che «Con il cambiamento climatico, l’aumento delle temperature oceaniche e l’acqua di fusione dei ghiacciai stanno causando l’innalzamento del livello del mare, aumentando la frequenza e la gravità delle inondazioni costiere. Di conseguenza, gli ingegneri hanno bisogno di stime accurate del futuro rischio di inondazioni che non presuppongano che il nostro futuro in evoluzione rifletterà i modelli costieri storici».
Per Moftakhari, «Ciò che lo rende così impegnativo è che la maggior parte degli strumenti, delle linee guida di progettazione, dei manuali pratici e altro ancora si basano tutti sul presupposto della stazionarietà. Devono essere aggiornati per permetterci di tenere il passo con il tasso di cambiamento».
Secondo lo studio “Future Coastal Population Growth and Exposure to Sea-Level Rise and Coastal Flooding – A Global Assessment”, pubblicato nel 2015 su Plos One da un team di ricdercatori delle università di Kiel e di Southampton, più di 600 milioni di persone vivono in regioni costiere basse e si prevede che questo numero aumenterà. Strutture di difesa costiera ben progettate svolgono un ruolo importante nella capacità delle comunità costiere di resistere a gravi inondazioni. Ma, anche se il livello medio del mare sta aumentando, il risultato non sarà lo stesso ovunque. Le latitudini più elevate potrebbero subire un calo del livello del mare a causa dello scioglimento delle pesanti calotte glaciali e dell’innalzamento della terra sottostante. In alternativa, regioni come il Golfo del Messico stanno registrando tassi di innalzamento del livello del mare più rapidi rispetto alla media globale perché la terra sta gradualmente sprofondando.
Secondo Moftakhari, «Le comunità costiere avranno bisogno di soluzioni uniche basate sulle informazioni locali per soddisfare le loro esigenze. Sappiamo che il livello medio del mare sta aumentando, la domanda è: come lo affronteremo? Abbiamo già visto che molte parti della costa sono permanentemente inondate e perdono terreno, e molte città e isole costiere stanno subendo inondazioni molto più frequentemente rispetto al passato: è tempo di imparare come affrontare la non stazionarietà».
Moftakhari però resta ottimista e conclude: «I disastri sono il risultato del processo decisionale umano, non solo dei rischi. Non dimentichiamo che tutto dipende dal livello dell’acqua che ci aspettiamo di trovare senza misure di mitigazione. Ci saranno progressi tecnologici che potrebbero migliorare la resilienza delle comunità».
Fonte https://greenreport.it/news/clima/entro-la-fine-del-xxi-secolo-le-alluvioni-centenarie-potrebbero-verificarsi-ogni-anno/#:~:text=Moftakhari%20spiega%20che%20%C2%ABIn%20un,saranno%20pi%C3%B9%20considerati%20eventi%20centenari%C2%BB
Un gruppo internazionale di scienziati ha pubblicato sulla rivista Science Advance (Richardson et al 2023, Science Advances 13 Sep 2023, Vol 9, Issue 37 ) una analisi dettagliata della resilienza planetaria mappando tutti i nove processi di confine che definiscono uno spazio operativo sicuro per l’umanità.
Una volta di più emerge che l'attività umana influisce più che mai sul clima e sugli ecosistemi della Terra, mettendo a rischio la stabilità dell'intero pianeta. Sei dei confini planetari sono ora oltrepassati, ecco quali e cosa può implicare per la nostra società.
Cosa sono i confini planetari
I "confini planetari" sono un concetto teorico sviluppato nel 2009 nell'ambito della ricerca scientifica sulla resilienza dell’umanità alla crisi ambientale. Questo concetto è stato introdotto per valutare i limiti entro cui l'umanità può operare in modo sostenibile, mantenendo un ambiente stabile e adatto alla vita umana. I confini planetari sono stati proposti per identificare i punti critici oltre i quali le attività umane potrebbero avere conseguenze catastrofiche per il pianeta e per la società.
Nel nuovo studio, sono stati analizzati i limiti di cambiamenti climatici, integrità della biosfera, uso del suolo, acqua dolce, flussi biogeochimici, acidificazione degli oceani, aerosol atmosferici, ozono stratosferico e, novità rispetto ai precedenti studi, le “entità nuove”
Queste ultime comprendono aspetti quali sostanze chimiche e sintetiche, microplastica, materiali radioattivi, compresi i rifiuti nucleari e le armi nucleari, gli organismi geneticamente modificati e altri interventi umani nei processi evolutivi.
limiti superati
La ricerca pubblicata afferma che sei dei nove confini planetari hanno superato il “limite di sicurezza”, in particolare cambiamenti climatici, integrità della biosfera e biodiversità, uso del suolo, acqua dolce, flussi biogeochimici e le “entità nuove”, fra cui la plastica e altri inquinanti e gli OGM. Restano sotto il confine planetario o in fase non nota acidificazione degli oceani, aerosol atmosferici, ozono stratosferico. Su tutti questi però aumenta la pressione e il limite potrebbe anche essere già stato superato.
sei dei nove confini planetari hanno superato il “limite di sicurezza”, in particolare cambiamenti climatici, integrità della biosfera e biodiversità, uso del suolo, acqua dolce, flussi biogeochimici e le “entità nuove”, fra cui la plastica e altri inquinanti e gli OGM.
Nuove prove scientifiche in particolare hanno consentito al team di scienziati di quantificare il limite del carico di aerosol atmosferico. Questo confine non è stato ancora superato, ma l’aumento delle pressioni è evidente in vaste regioni in cui l’inquinamento da particelle atmosferiche influisce sui sistemi monsonici.
Il nuovo confine delle “entità nuove” è stato ora quantificato e la valutazione conferma che è stato superato. Questo comprende l’introduzione e l’accumulo di tutti i nuovi composti chimici creati dall’uomo, come microplastiche e interferenti endocrini, pesticidi e scorie nucleari.
Le novità dello studio
Il nuovo studio è la terza importante valutazione del quadro dei confini planetari, ed è il primo a fornire un check-up completo di tutti e nove i processi e i sistemi che mantengono la stabilità e la resilienza del nostro pianeta.
Oltrepassare un confine non equivale automaticamente a cambiamenti drastici che avvengono da un giorno all’altro, ma insieme segnano una soglia critica per l’aumento dei rischi per le persone e per gli ecosistemi di cui facciamo parte.
C’è anche una notizia di speranza, Il limite dell’ozono stratosferico (il buco nell’ozono) era stato superato negli anni ’90 ma, grazie alle iniziative globali e al Protocollo di Montreal del 1988 questo limite ora non viene più oltrepassato.
La nuova valutazione dei confini planetari sottolinea i legami stretti e complessi tra le persone e il pianeta. “In definitiva, evidenzia le conseguenze ambientali della vita nell’Antropocene e la nostra responsabilità come futuri amministratori del pianeta”, afferma il coautore dello studio Ingo Fetzer del Stockholm Resilience Center dell’Università di Stoccolma.
Cosa rischiamo a oltrepassare i confini planetari
Potremmo paragonare i confini planetari a un’automobile che viaggia oltre i limiti di velocità e porta anche il motore fuorigiri. Un altro paragone è col corpo umano e con i parametri vitali o gli esami del sangue. La pressione arteriosa oltre 120/80 non indica un infarto o ictus, ma ne aumenta il rischio.
“Questo aggiornamento sui confini planetari descrive chiaramente un paziente che non sta bene, con la pressione sul pianeta aumenta e i confini vitali vengono violati. Non sappiamo per quanto tempo potremo continuare a oltrepassare questi limiti fondamentali prima che pressioni combinate portino a cambiamenti e danni irreversibili”, afferma il ricercatore e coautore del Centro Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e professore di scienze ambientali presso lo Stockholm Resilience Center dell'Università di Stoccolma.
"La scienza e il mondo in generale sono davvero preoccupati per tutti gli eventi climatici estremi .... Ma ciò che ci preoccupa, ancora di più, sono i crescenti segnali di diminuzione della resilienza planetaria, manifestata dalla violazione dei confini planetari, che ci avvicina a punti critici e chiude la finestra per avere qualche possibilità di mantenere il limite climatico planetario di 1,5°C," ammonisce infine Johan Rockström.
di Luca Lombroso
Fonte https://www.ilmeteo.net/notizie/scienza/ambiente-terra-superati-sei-confini-planetari-su-nove-cosa-significa-quali-rischi.html
Uno strumento per orientare scelte tecnologiche indispensabili e urgenti per l'ambiente, ma attente agli sviluppi futuri. Il rapporto Siccità, transizione auto, case green. Mission impossible, yet mandatory dell'Osservatorio imprese della facoltà di Ingegneria civile e industriale dell'Università La Sapienza di Roma (che viene presentato oggi al Mase) è, nelle parole del presidente Riccardo Gallo "un contributo di informazioni scientifiche e tecnologiche ad uso del governo italiano. Il messaggio che vuole veicolare è che sono necessari cambiamenti urgenti e le autorità preposte non posson recalcitrare. Tuttavia, quando si adottano nuove tecnologie per risolvere problemi come quelli della siccità, della mobilità e dell'edilizia è importante tenere in conto che le nemmeno le tecnologie sono mature, per cui si devono fare scelte oculate".
Il rapporto è un documento di quasi cento pagine di contenuto prevalentemente tecnologico. L'Osservatorio, che lo ha elaborato, è una commissione interna della facoltà di Ingegneria civile e Industriale della Sapienza e ha il compito di facilitare il trasferimento di conoscenza dalle imprese italiane più dinamiche, innovative, internazionali, redditive ai consigli d'area didattica della facoltà, in modo da integrare l'offerta formativa e migliorare il profilo dei propri laureati. Al rapporto, come sottolinea Gallo, "hanno contribuito i maggiori esperti di ciascuno dei tre temi, docenti di ingegneria civile e industriale della Sapienza".
Nel descrivere il lavoro fatto Gallo sottolinea più volte che "l'evoluzione drammatica della situazione, dovuta anche al cambio climatico, spinge a far presto e a ipotizzare tecnologie nuove che non sono tutte pronte. Per questo è indispensabile valutare che ognuna ha delle controindicazioni, dei rovesci della medaglia. L'ansia che viene dall'urgenza può portare a sottovalutare le controindicazioni. Questo è il leit motiv del rapporto, che appunto ha come sottotitolo 'mission impossible': siamo combattuti tra l'obbligo a frenare l'inquinamento e l'impossibilità a farlo perché ci sono controindicazioni".
Siccità: la dissalazione e l'effetto collaterale della brina
Ogni sezione del rapporto fa degli esempi in questo senso. Per quanto riguarda la siccità, il capitolo 1, coordinato da Francesco Napolitano, indica tra le tecnologie di possibile utilizzo per aumentare le risorse idriche per l'agricoltura gli impianti di desalinizzazione. In questo senso, le tecniche sono molto avanzate, ma, si legge nel rapporto: "Uno dei maggiori problemi dei processi di dissalazione è la brina, ovvero l'acqua di mare concentrata. Laddove si potrebbe pensare di dismettere la brina direttamente in mare, l'operazione non risulta semplice in quanto ha sensibili impatti sulla flora e fauna sottomarina ai punti di immissione. Il problema, quindi, non permette elevate rese dei processi, a meno che la brina non venga destinata al suolo per la produzione del sale marino".
Le auto e i limiti dei biocarburanti tradizionali
La transizione verso auto non più alimentate con combustibili fossili è una delle grandi sfide affrontate dal rapporto nel capitolo 2, coordinato da Domenico Borello. Anche qui si sottolineano pro e contro delle nuove tecnologie e tra le alternative disponibili al petrolio e al gas vengono citati anche i biocarburanti. Il nome è promettente, ma il rapporto spiega che "La produzione di biocarburanti tradizionali è in forte aumento e (questo è il forte rischio) può portare allo sfruttamento di terreni finora non coltivati come foreste, zone umide e torbiere, che costituiscono aree a elevato stoccaggio di carbonio. Questo processo, noto come cambiamento indiretto della destinazione del suolo, può causare il rilascio di anidride carbonica immagazzinata negli alberi e nel suolo e rappresenta un attentato alla riduzione di gas serra, perché diminuirebbe la capacità di assorbimento dell'anidride carbonica da parte dell'ecosistema vegetale".
Edilizia: l'attività sismica e gli incendi
Il capitolo 3, coordinato da Livio de Santoli, parte dalla direttiva Ue EPBD (Energy Performance Building Directive) del 2018, che è una guida generale sull'efficienza energetica degli edifici e che è stata recepita in Italia dal Decreto legislativo 48/2020. In questo ambito, ciascun Paese deve presentare alle istituzioni europee un quadro riassuntivo di azioni per fronteggiare anche i rischi connessi all'attività sismica e agli incendi, e deve redigere una tabella di marcia per raggiungere gli obiettivi di medio termine al 2030 per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nell'Ue almeno del 55% rispetto al 1990. Anche in questa sezione, strumenti normativi e tecnologici a disposizione e in fase di implementazione vengo analizzati nel dettaglio, con valutazioni puntuali su "fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi alternativi ad alta efficienza, come primo passo all'interno dell'iter progettuale di nuovi edifici".
"Il rapporto si concentra sull'Italia - conclude Gallo - ma siccome valuta variabili interconnesse bisogna sempre considerare che la situazione è mondiale, non soltanto italiana, perciò è ovvio che le scelte vadano fatte da organismi mondiali, con opzioni tecnologiche globali fornite da una comunità scientifica già internazionale. Indispensabile però che questa non diventi per i singoli Paesi una scusa per l'inazione: non ci sono alibi, non si può stare a girarsi i pollici. È vero che l'Italia è politicamente più debole di altri Paesi, ma questo non può esimerla dal farsi pungolo ad ogni livello".
di Cristina Nadotti
Fonte https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/09/13/news/siccita_case_green_transizione_auto_rapporto_sapienza-414103462/
Le imprese e le famiglie "traggono chiaramente vantaggio" da una transizione verde più rapida. E’ il risultato del secondo stress test condotto dalla Banca Centrale Europea sull’impatto economico del cambiamento climatico. Per la Bce, è vero che una transizione a tappe forzate comporta inizialmente maggiori investimenti e costi energetici più elevati, ma essa diminuisce "significativamente" i rischi finanziari nel medio termine.
Sia i profitti che il potere d'acquisto sarebbero meno influenzati negativamente, poiché gli investimenti anticipati nelle energie rinnovabili si ripagano prima e, in ultima analisi, riducono le spese energetiche.
Nello scenario della transizione accelerata allineata agli obiettivi di Parigi, gli investimenti verdi delle imprese dell'area dell'euro salgono a 2mila miliardi di euro entro il 2025, mentre ammontano a soli 500 milioni negli altri due scenari considerati, uno con l’azione climatica che accelera solo dopo il 2026 con gli obiettivi di Parigi (accelerazione “tardiva”), l’altro senza obiettivi di Parigi (“transizione ritardata”).
Nella transizione tardiva, gli investimenti verdi raggiungono quelli della transizione accelerata entro il 2030, raggiungendo entrambi un totale di 3mila miliardi di euro, mentre rimangono inferiori nella transizione ritardata. Nei due scenari, per recuperare il ritardo gli investimenti verdi dovrebbero essere incrementati rapidamente, mettendo a rischio le imprese, in particolare nei settori ad alta intensità energetica come quello manifatturiero, minerario ed elettrico, con un aumento dei livelli di indebitamento e una riduzione dei profitti circa doppia rispetto alla media delle imprese dell'area dell'euro. Con l’aumento dei rischi per le imprese, aumenta anche quello per le banche, fa notare la Bce.
Fonte https://www.ansa.it/europa/notizie/sviluppo_sostenibile_digitale/2023/09/08/la-bce-accelerare-la-transizione-costa-meno-che-rallentarla_ae181779-e7a2-490b-9845-d437bb2026a5.html