“Dopo aver compiuto progressi significativi nell’azione per il clima a partire dal secondo decennio del secolo e dopo essersi impegnata per allineare la sua strategia ambientale agli standard UE, l’Ucraina ha subito nel 2022 l’invasione da parte della Russia che ha contribuito alla devastazione ambientale del Paese con il rilascio di elementi potenzialmente tossici derivanti dalle attività militari”. È un giudizio perentorio quello espresso dal Joint Research Centre della Commissione Europea sui danni collaterali della guerra.
Conseguenze gravi che, seppur non paragonabili ai costi umani del conflitto innescato da Mosca nel febbraio di tre anni fa, rappresentano comunque un problema di grande portata per una nazione che può contare su un vastissimo patrimonio forestale e un suolo agricolo tra i più produttivi del Pianeta: il celebre chernozem. La fotografia della situazione è contenuta nel rapporto “Status of Environment and Climate in Ukraine” pubblicato nelle scorse settimane.
Le emissioni erano diminuite di quasi due terzi in 30 anni
Tra il 1990 e il 2021 le emissioni di gas serra in Ucraina sono diminuite del 62,5%, osserva il rapporto. Tuttavia, con la ripresa post-pandemia il dato è cresciuto del 7,5% rispetto al 2020. La guerra ha poi causato una riduzione del 23-26% misurata nel 2022 e legata alla distruzione delle infrastrutture energetiche e industriali ma ha anche generato emissioni aggiuntive nei primi 18 mesi di conflitto. Tra il 2018 e il 2022, inoltre, le concentrazioni medie annue di biossido di azoto (NO₂) e formaldeide (CH₂O) hanno superato i limiti fissati dagli standard nazionali.
A Kyiv, i livelli di PM10 e PM2.5 sono risultati inferiori ai limiti UE, ma superiori alle linee guida più stringenti dell’OMS.
Per lo stato delle acque il giudizio resta sospeso: “Il Mar Nero è sottoposto a una forte pressione antropica dovuta al sovraccarico di nutrienti e contaminanti (comprese le microplastiche), al traffico marino intensivo, ai cambiamenti climatici, alla pesca e alla diffusione di specie invasive”. Tuttavia, “dall’inizio della guerra il monitoraggio ambientale non è più praticabile a causa dell’inaccessibilità della costa e dell’impossibilità di effettuare indagini marine”.
Gli incendi hanno distrutto quasi un milione di ettari di foresta nel 2024
Tra gli habitat più a rischio ci sono le foreste che in Ucraina coprono un quinto del territorio con un’estensione tra le più ampie in Europa in valore assoluto. Secondo lo studio, sono oggi 1,7 milioni gli ettari totali colpiti dalla guerra, pari a circa il 15% della copertura forestale del Paese. “Dallo scoppio delle ostilità nel febbraio 2022, le pressioni sono aumentate a causa dell’intensa deforestazione e della distruzione dell’habitat, nonché della minaccia di residui esplosivi e delle fiamme”, spiega il rapporto. Un fenomeno, quest’ultimo, non del tutto nuovo.
Negli ultimi decenni, infatti, “Il cambiamento climatico ha fatto crescere il rischio di grandi incendi boschivi che, soprattutto negli ultimi cinque anni, sono stati responsabili delle perdite di copertura forestale in una misura annuale compresa tra il 45 e il 65% del totale”.
Secondo le immagini satellitari, nel 2024 l’Ucraina ha subito incendi da record che hanno bruciato 965.000 ettari di foreste, più del doppio dell’area totale colpita dalle fiamme nello stesso anno nell’Unione Europea. “La maggior parte di essi si è verificata in condizioni di clima secco e caldo lungo le linee del fronte”, precisa il rapporto.
Il degrado del suolo in Ucraina
Uno dei maggiori problemi vissuti dall’Ucraina è il degrado del terreno che colpisce una delle principali risorse naturali del Paese, essenziale per l’agricoltura e la sicurezza alimentare nazionale e internazionale. “La salute del suolo è fondamentale per l’Ucraina, dove l’agricoltura costituisce una delle principali attività economiche contribuendo all’11% del PIL e al 60% delle esportazioni con un valore stimato nel 2023 di 23,3 miliardi di euro“, spiega il rapporto.
Tra le principali forme di degrado c’è l’erosione, un processo che interessa circa il 40% del territorio agricolo.
La perdita di strato fertile, che compromette la produttività dei terreni, è favorita da anni dall’impiego di pratiche agricole intensive e non sostenibili, come l’aratura profonda e l’assenza di rotazione delle colture. La guerra, da parte sua, ha creato un’ulteriore emergenza. Il conflitto, infatti, “ha contribuito alla devastazione rilasciando elementi tossici come piombo, mercurio e arsenico che, penetrando nelle catene alimentari, possono causare gravi conseguenze per la salute pubblica”.
La guerra rende più difficile il monitoraggio
L’invasione russa, ricorda il rapporto, ha moltiplicato le pressioni ambientali. Esplosioni, movimenti di truppe e utilizzo di munizioni sono eventi che contribuiscono non solo alla contaminazione e al degrado del suolo ma anche alla distruzione delle coperture vegetali e alla compromissione della loro funzione ecologica. A questo si aggiunge poi un altro problema: la presenza di mine e residuati bellici, infatti, ostacola sia l’adozione di pratiche di recupero sia il monitoraggio.
Il sistema nazionale di osservazione del suolo è attualmente frammentato e insufficiente, continuano gli autori. La guerra, poi, ha reso inaccessibili molte aree e ha interrotto diverse attività di campionamento.
Mancano, inoltre, una strategia nazionale coerente e strumenti aggiornati per la valutazione dello stato di salute del terreno. Allo stato attuale, insomma, diventa molto difficile valutare fenomeni rilevanti come compattazione, acidificazione, salinizzazione e perdita di sostanza organica. E diviene altrettanto complesso intervenire in modo mirato per rimediare. In futuro sarà quindi fondamentale rafforzare la capacità di monitoraggio da remoto, introdurre pratiche agricole conservative, bonificare i terreni contaminati e resi pericolosi dalla presenza di residuati bellici e, infine, integrare la protezione del suolo nelle politiche di ricostruzione e adattamento climatico.
di Matteo Cavallito
Fonte: https://resoilfoundation.org/ambiente/guerra-ucraina-terreni-contaminati/
L’aumento del riscaldamento globale ha triplicato la durata media delle ondate di calore marine in tutto il mondo dal 1940 a oggi. Questo fenomeno climatico estremo, che consiste in periodi prolungati di temperature anormalmente elevate sulla superficie del mare, sta diventando sempre più frequente, intenso e persistente. Con ricadute immediate sugli ecosistemi marini e costieri.
Un nuovo metodo per capire quanto pesa la mano dell’uomo
Lo sostiene uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha valutato quanto, esattamente, il riscaldamento globale di origine antropica ha contribuito all’aumento delle ondate di calore marine.
Per quantificare questo contributo specifico, il team di ricerca – composto da scienziati dell’Istituto Mediterraneo di Studi Avanzati (IMEDEA-CSIC-UIB) e del National Centre for Atmospheric Science (University of Reading) – ha adottato un approccio innovativo: la costruzione di un “clima controfattuale”.
Cosa significa? I ricercatori hanno ricreato un modello delle temperature marine globali così come sarebbero state in un mondo senza l’aumento progressivo della temperatura globale causato dalle attività umane. Questo modello, basato su dati storici dal 1940 al 2023, mantiene la variabilità climatica interna e la cronologia degli eventi osservati, ma elimina la tendenza al riscaldamento di lungo periodo.
Il confronto tra questo scenario alternativo e le temperature reali osservate ha permesso di isolare con precisione l’effetto del riscaldamento globale antropico sulle ondate di calore marine.
Ondate di calore marine, un’accelerazione preoccupante dal 2000 in poi
I dati emersi dallo studio sono inequivocabili:
Circa la metà delle ondate di calore marine osservate dal 2000 in poi non si sarebbero verificate senza il riscaldamento globale.
Il numero di giorni all’anno in cui gli oceani sperimentano condizioni di calore estremo è triplicato, passando da una media di 15 giorni negli anni ’40 a circa 50 oggi. In alcune aree, come l’Oceano Indiano, si raggiungono picchi di 80 giorni all’anno.
L’intensità massima delle ondate di calore marine è aumentata di 1°C rispetto ai valori del secolo scorso.
Il riscaldamento globale è quindi responsabile di circa il 50% delle ondate di calore marine osservate e ha aumentato significativamente sia la frequenza che la gravità di questi eventi estremi.
Le conseguenze? Ecosistemi vulnerabili come le praterie di fanerogame marine (seagrass meadows) e le barriere coralline vengono danneggiati o distrutti da temperature elevate persistenti, mettendo in crisi la biodiversità marina. Le specie che dipendono da questi habitat, come pesci, molluschi e crostacei, perdono risorse vitali e possono andare incontro a estinzioni locali. Inoltre, acque più calde aumentano l’evaporazione, contribuendo a un clima più instabile e più eventi meteorologici estremi, come uragani e precipitazioni intense, con rischi crescenti per le aree costiere.
Fonte: https://www.rinnovabili.it/clima-e-ambiente/cambiamenti-climatici/ondate-calore-marine-triplicate/
E’ morto questa mattina Papa Francesco. All’Angelus di Pasqua aveva affidato il suo ultimo messaggio: “Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le ‘armi’ della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!”
Roma è una città cinica, abituata da più di due millenni a vedere fiorire e tramontare imperi e ricchezze. Questo cinismo veniva espresso – oggi meno perché a Roma sono rimasti pochi romani – nell’antico e brutale adagio “morto un papa se ne fa un altro”. Ma non sarà facile trovare un papa come Francesco. La profondità del cambiamento impresso alla Chiesa dal suo pontificato è stata evidente il primo giorno, quando Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, gesuita e figlio di emigrati piemontesi, ha deciso di assumere il nome di Francesco. E i due poli indicati da questa scelta – l’attenzione alla natura e ai poveri – sono rimasti il filo conduttore che ha segnato i suoi 12 anni di pontificato.
Un pontificato radicalmente innovativo nei modi e nella sostanza. Nei modi perché l’apertura al mondo di Francesco non è stata solo un elemento intellettuale e dottrinale. Aveva un’energia inarginabile: il contatto curioso ed empatico con le persone – dalle visite a sorpresa nei negozi alle telefonate al presidente di Slow Food – rivelava il suo profondo interesse per le singole vite.
Innovativo nella sostanza perché ha riportato, come un tutt’uno, l’ambiente e la coesione sociale al centro del messaggio della Chiesa. Nel 2015 ha stupito il mondo con la Laudato sì. Un’enciclica che costituisce il più formidabile atto di accusa contro la rapacità dissennata dei predatori di natura. L’eccezionalità di questo documento sta nel perfetto bilanciamento di scienza ed etica, analisi storica e visione prospettica.
“L’intervento dell’essere umano sulla natura si è sempre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si tratta di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana (…). Di qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a ‘spremerlo’ fino al limite e oltre il limite”. In questo passaggio della Laudato sì c’è già tutto, l’essenza dell’errore in cui siamo immersi e che sta “sgretolando il mondo che ci accoglie”: il ritardo culturale che frena la conoscenza, che ci impedisce di mettere in atto i rimedi che pure gli scienziati conoscono e da tempo indicano come indispensabili.
Certo, è imbarazzante per il mondo laico constatare che papa Francesco è stato – anche – il grande difensore della conoscenza scientifica mentre i capi di alcuni dei maggiori Paesi del mondo seminavano falsità sulla crisi climatica. È successo perché Francesco guardava lontano e poteva vedere con chiarezza i nostri interessi collettivi, i bisogni reali. Mentre chi guarda solo in basso, all’interesse immediato che misura magari con i tempi dei sondaggi, rischia di non vedere gli ostacoli che si profilano.
È per questo che La Laudato sì ha saputo anticipare gli eventi, indicando con puntualità i mali che si stavano delineando: “È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni”. E ha saputo anticipare le soluzioni: “Il funzionamento degli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi”.
In fondo si potrebbe obiettare che Francesco ha fatto il suo mestiere, perché guardare lontano è il mestiere del papa. Ma qui arriva l’altra sorpresa di questo pontificato: la rilettura profonda, e in parte autocritica, del rapporto tra l’uomo e la natura: “Non basta pensare alle diverse specie solo come a eventuali ‘risorse’ sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in se stesse”. E ancora: “Qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a ‘coltivare e custodire’ il giardino del mondo. (…) Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura”.
E nel 2023 arriva la Laudate deum, l’esortazione apostolica in cui il papa denuncia i ritardi nell’azione riparativa dei danni che abbiamo prodotto e indica con chiarezza come la cura dell’ambiente sia anche la cura per la nostra società e coincida con la difesa dei più deboli, che sono i più esposti al rischio della disgregazione della stabilità climatica e della stabilità sociale: “La transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori. Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito”.
Non occuparsene, ignorare il bene collettivo e agire – spesso con violenza – per imporre l’interesse particolare di pochi, porta alla disgregazione non solo del mondo fisico ma anche di quello culturale e storico. Il rimedio indicato è il contrario di quello che sta avvenendo. È la “necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune”.
Papa Francesco è stato il grande difensore della nostra casa comune. Senza di lui siamo più soli.
di Antonio Cianciullo
Fonte: https://ultimabozza.it/il-papa-che-ha-difeso-la-casa-comune/
E' il momento dell’operatività per il sistema di assicurazione per i rischi catastrofali di cui al decreto 18/2025 “Regolamento recante modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione dei rischi catastrofali”, con l’obbligo assicurativo per le grandi imprese che è partito il 31 marzo 2025, mentre le medie imprese avranno tempo fino al 1° ottobre 2025 e quelle piccole fino al 31 dicembre 2025.
Come funziona? In seguito a richieste di chiarimento pervenute, il ministero delle Imprese ha pubblicato le prime indicazioni, che riportiamo integralmente in allegato.
1. Qualora l’impresa non abbia terreni, fabbricati, impianti e macchinari, attrezzature industriali e commerciali di proprietà, ma utilizzi tali beni per la propria attività di impresa ad altro titolo (ad esempio affitto o leasing), su chi grava l’obbligo di stipulare la polizza per i danni provocati da calamità naturali ed eventi catastrofali?
R.Come chiarito dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1-bis comma 2 del decreto-legge 19 ottobre 2024, n. 155, convertito con modificazioni dalla L. 9 dicembre 2024, n. 189 l'oggetto della copertura assicurativa per i danni da calamità naturali ed eventi catastrofali di cui all'articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, è riferito ai beni elencati dall'articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, a qualsiasi titolo impiegati per l'esercizio dell'attività di impresa, con esclusione di quelli già assistiti da analoga copertura assicurativa, anche se stipulata da soggetti diversi dall'imprenditore che impiega i beni.
Il riferimento all’art. 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, pertanto, deve essere inteso come un rinvio ai beni ivi elencati, ai fini della loro identificazione. L’imprenditore, dunque, deve assicurare tutti i beni impiegati nell’esercizio dell’impresa e rientranti nei numeri 1), 2) e 3) sezione Attivo, voce B-II, di cui all’art. 2424 c.c., anche se sugli stessi l’impresa non ha il diritto di proprietà, con la sola esclusione dei beni già assistiti da analoga copertura assicurativa, anche se stipulata da soggetti diversi dall'imprenditore che impiega i beni.
2. I beni gravati da abuso edilizio sono soggetti all’obbligo assicurativo?
R.No, in quanto l’articolo 1, comma 2, del DM n. 18/2025 dispone che “sono esclusi dalla copertura assicurativa i beni immobili che risultino gravati da abuso edilizio o costruiti in carenza delle autorizzazioni previste ovvero gravati da abuso sorto successivamente alla data di costruzione”.
3. I beni immobili in costruzione sono soggetti all’obbligo assicurativo?
R.No, i beni immobili in costruzione non sono soggetti all’obbligo assicurativo, in quanto sono iscritti all’articolo 2424, comma 1, sezione Attivo, voce B-II, numero 5), mentre l’articolo 1, comma 1, lettera b) del DM n. 18/2025 fa riferimento alle immobilizzazioni di cui all’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile.
4. L’obbligo di stipulare una polizza a copertura dei danni da calamità naturali ed eventi catastrofali di cui all'articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 può essere assolto anche per il tramite di polizze collettive?
R.Sì, l’obbligo assicurativo può essere assolto anche con l’adesione a polizze collettive.
5. Le imprese soggette all’obbligo di stipulare una polizza contro i rischi catastrofali sono solamente quelle soggette all’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle imprese?
R.Indipendentemente dalla sezione nella quale sono iscritte, tutte le imprese con sede legale in Italia e le imprese aventi sede legale all'estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all'iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell'articolo 2188 del codice civile, hanno l’obbligo di stipulare l’assicurazione contro i danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofali di cui all'articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213. Sono escluse dall’obbligo solamente le imprese di cui all'articolo 2135 del codice civile (imprese agricole).
6. Quando occorre adeguare le polizze già in essere?
R.L’articolo 11, comma 2, del DM n. 18/2025 prevede che “Per le polizze già in essere, l’adeguamento alle previsioni di legge decorre a partire dal primo rinnovo o quietanzamento utile delle stesse.”
7. Lo studio legale in cui viene esercitata l’attività professionale è soggetto all’obbligo assicurativo contro i danni da calamità naturali ed eventi catastrofali?
R.L’obbligo assicurativo sussiste per tutte le imprese con sede legale in Italia e le imprese aventi sede legale all'estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all'iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell'articolo 2188 del codice civile. L’obbligo di stipulare la polizza, pertanto, discende dall’obbligo di iscrizione al Registro delle imprese.
8. L’imprenditore che svolge la propria attività presso la propria abitazione è tenuto a stipulare una polizza a copertura dei danni da calamità naturali ed eventi catastrofali?
R.Se l’immobile è impiegato per l’esercizio dell’attività di impresa ricade nel perimetro dell’obbligo assicurativo per la porzione di edificio destinata all’esercizio dell’attività d’impresa.
9. L’obbligo assicurativo di cui all'articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 sussiste anche per le imprese che non hanno o non impiegano alcuno dei beni di cui all'articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile?
R.Le imprese tenute all'iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell'articolo 2188 del codice civile che non hanno in proprietà o non impiegano per la propria attività alcuno dei beni elencati dall'articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile non sono soggetti all’obbligo di stipula dell’assicurazione di cui all'articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213.
10. I veicoli iscritti al PRA sono soggetti all’obbligo assicurativo di cui alla legge 30 dicembre 2023, n. 213?
R.L’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 4) del DM 30 gennaio 2025, n. 18 definisce le attrezzature industriali e commerciali, comprendendo in esse macchine, attrezzi, utensili e relativi ricambi e basamenti, altri impianti non rientranti nella definizione di fabbricato, impianti e mezzi di sollevamento, pesa, nonché di imballaggio e trasporto non iscritti al P.R.A. Risultano, pertanto, esclusi dai beni oggetto della copertura assicurativa di cui alla legge 30 dicembre 2023, n. 213, i veicoli iscritti al P.R.A.
11. La disciplina legislativa di cui all’articolo 1, commi 102, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, relativa agli effetti sulle misure di incentivazione dell’adempimento dell’obbligo di stipula da parte delle imprese della polizza assicurativa contro i danni da calamità naturali ed eventi catastrofali deve intendersi automaticamente applicabile allo scadere dei termini previsti dal decreto-legge 31 marzo 2025, n. 39 o necessita di ulteriori atti o provvedimenti?
R. La disciplina recata dall’articolo 1, comma 102, della legge n. 213 del 2023 non ha carattere autoapplicativo. Il comma 102 dell’articolo 1 stabilisce, infatti, che dell’inadempimento dell’obbligo di assicurazione da parte delle imprese “si deve tener conto” nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubbliche, senza determinare in maniera perentoria quali siano gli effetti di tale valutazione. Ne consegue che ciascuna Amministrazione titolare di misure di sostegno e agevolazione è chiamata a dare attuazione alla citata disposizione, definendo e comunicando le modalità con cui intende tener conto del mancato adempimento all’obbligo assicurativo in argomento in relazione alle proprie misure coerentemente con le tempistiche recate dall’articolo1 del decreto legge 31 marzo 2024, n.39.
Per quanto attiene alle misure di propria competenza, questo Ministero è orientato a tener conto dell’inadempimento dell’obbligo assicurativo precludendo l’accesso agli incentivi di propria competenza alle imprese inadempimenti. Tale indicazione dovrà comunque essere recepita nella disciplina normativa relativa a ciascun incentivo. La causa di esclusione opererà per le domande presentate a decorrere dalla data del predetto provvedimento di adeguamento e di recepimento della previsione di cui alla legge n. 213 del 2023 nell’ambito della disciplina normativa della misura di agevolazione tenendo conto delle tempistiche recate dall’articolo1 del decreto legge 31 marzo 2024, n.39.
12. La disposizione di cui al comma 102 della legge 30 dicembre 2023, n. 213 in merito all’accesso a contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubblici connessa alla mancata stipula da parte dell’impresa della polizza assicurativa di cui alla legge n. 213 del 2023 è retroattiva e si applica, dunque, anche a contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubblici ottenuti dalle imprese prima dello scadere dei termini previsti dal decreto-legge 31 marzo 2025, n. 39?
R. No, per quanto esposto in risposta alla precedente domanda, la valutazione in merito all’accesso a contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubblici, connessa alla mancata stipula da parte dell’impresa della polizza assicurativa opera dalla data del provvedimento di adeguamento e di recepimento della previsione di cui alla legge n. 213 del 2023 nell’ambito della disciplina normativa del contributo, sovvenzione o agevolazione pubblica, ovvero dalla diversa data ivi indicata.
Fonte: https://www.greenreport.it/news/prevenzione-rischi-naturali/55228-come-funziona-lobbligo-di-assicurazione-delle-imprese-contro-le-catastrofi-naturali-in-12-punti
Roma, la città eterna dei ritardi e delle bici fantasma: la prima parte del Grab, quella costosissima pista ciclabile finanziata con i soldi pubblici del Piano nazionale, è quasi pronta, ma chissà se i romani la useranno o la trasformeranno in un parcheggio per scooter rubati! Cos’è il Grab e perché è controverso
Il Grab, o Grande Raccordo Anulare per le Bici, è un ambizioso progetto che promette di collegare Roma con una rete di piste ciclabili, ma fin dall’inizio ha odorato di spreco. Finanziato con fondi del Piano nazionale, questo tratto iniziale doveva essere un simbolo di “mobilità green”, ma tra appalti gonfiati e ritardi epici, sembra più un regalo ai politici che ai pedoni.
I lavori in dirittura d’arrivo, o quasi
I cantieri della prima parte del Grab sono ufficialmente in fase di completamento, con i lavoratori che corrono contro il tempo per evitare altri scandali. Ma diamoci una calmata: dopo anni di promesse, i romani si trovano di fronte a una pista che forse resisterà ai motorini e alle buche, o forse no. Intanto, i fondi pubblici continuano a sparire in questo buco nero burocratico.
Reazioni e polemiche sul terreno
Mentre i ciclisti entusiasti parlano di rivoluzione urbana, molti romani – e non solo – lo vedono come l’ennesimo flop italiano, dove i soldi dei contribuenti finiscono in progetti che durano più di un governo. Critiche da ogni parte: alcuni dicono che è solo un modo per far contenti i verdi, mentre altri ridono dell’idea che Roma diventi “ciclabilissima” con il traffico che c’è. E voi, ci credete davvero?
di Carlo Alberto De Rais
Fonte: https://www.lacronacadiroma.it/2025/04/il-grande-raccordo-anulare-delle-bici-si-espande-inaugurata-la-ciclabile-in-via-di-san-gregorio-a-discapito-degli-automobilisti/
Ondate di calore, intelligenza artificiale e centri dati stanno portando la domanda di energia elettrica a nuovi livelli. Ma secondo un nuovo studio, quella derivata da fonti rinnovabili è all'altezza della sfida
Secondo una nuova analisi del think tank per l'energia pulita Ember, l'anno scorso il mondo ha generato più del 40 per cento dell'elettricità da fonti a bassa emissione di carbonio.
Si tratta di un record che non veniva battuto dagli anni '40, quando il sistema elettrico globale era 50 volte più piccolo di quello attuale e l'energia idroelettrica faceva il lavoro pesante.
Ora è l'energia solare a trainare la costruzione di un sistema elettrico completamente pulito. Secondo l'ultima Global Electricity Review di Ember, la produzione globale di energia solare è diventata sufficiente ad alimentare tutta l'India.
L'anno scorso, tuttavia, anche le emissioni del settore energetico hanno raggiunto il massimo storico, con 14,6 miliardi di tonnellate di CO2. Ciò è dovuto principalmente alla necessità di tecnologie di raffreddamento durante le ondate di calore, dato che il 2024 è stato l'anno più caldomai registrato, sottolineando l'urgenza della transizione energetica.
L'Ue è molto avanti rispetto alla media mondiale, avendo generato il 71 per cento della sua elettricità da fonti pulite nel 2024, tra cui il nucleare.
"L'Europa ha consolidato la sua leadership mondiale nel settore dell'energia pulita", ha dichiarato a Euronews Green Beatrice Petrovich, analista senior di Ember.
Inoltre, "sta mostrando al mondo come avere una quota crescente di energie rinnovabili nel mix", con quasi la metà (47 per cento) di energia solare, eolica e idroelettrica lo scorso anno.
L'Ue, una superpotenza solare
La produzione di energia solare nell'Ue è quasi raddoppiata nei tre anni fino al 2024 e ha rappresentato l'11 per cento dell'elettricità, superando per la prima volta il carbone.
Sette Stati membri si collocano tra i 15 Paesi con le quote più alte di energia solare a livello mondiale. In breve, secondo Petrovich, "l'Ue è una superpotenza solare".
Ci sono risultati nazionali da evidenziare. In termini assoluti, l'anno scorso la Germania ha generato 71 TWh di energia solare, posizionandosi al sesto posto a livello globale, mentre tutti i Paesi sono stati superati dalla produzione di 834 TWh della Cina.
L'Ungheria ha la quota più alta al mondo di energia solare nel suo mix elettrico, con il 25 per cento. Ciò è dovuto a un generoso programma di incentivi per l'energia solare residenziale che ha incrementato la capacità, spiega Petrovich. Ora è finito, ma i pannelli continueranno a fare il loro lavoro per decenni.
La Spagna, invece, si aggiudica il premio per il più grande aumento della produzione solare in Europa lo scorso anno. La sua impennata di 10 TWh è ancora una volta eclissata dai 250 TWh della Cina. La Cina rappresenta oltre la metà della variazione globale della produzione, un sorprendente 53 per cento, nel 2024.
Ma, almeno in Europa, "il solare non è la storia di un solo Paese", sottolinea Petrovich. "La crescita diffusa dimostra quanto questa tecnologia sia flessibile e scalabile", afferma Petrovich. "C'è una specie di storia del solare in ogni Paese".
Anche in presenza di condizioni climatiche meno ottimali rispetto al 2023, l'aumento dei pannelli, anche sui tetti, ha portato a una maggiore produzione di elettricità. Non c'è ancora un rallentamento nella crescita della capacità solare dell'Ue, nonostante l'elevato tasso di penetrazione.
California, un modello per l'Europa
Secondo Petrovich, è ora che l'Europa mostri al mondo come portare l'energia pulita a un livello superiore. Ciò significa avere ancora più energia solare ed eolica nel mix e la flessibilità necessaria per sfruttarla al meglio.
Ciò significa avere un portafoglio di soluzioni, tra cui le batterie per l'accumulo di energia, l'elettrificazione intelligente dei trasporti, degli edifici e dell'industria e una rete potenziata per spostare l'elettricità nelle varie regioni.
"Abbiamo la rete più grande del mondo. Ora dobbiamo renderla più intelligente", afferma Petrovich.
Potrebbero essere d'aiuto anche soluzioni che ricompensino le persone per aver consumato energia nei momenti della giornata in cui vi è più abbondanza, ad esempio per incoraggiare gli automobilisti a caricare i loro veicoli elettrici durante il giorno invece che durante la notte.
La tecnologia necessaria esiste già, aggiunge Petrovich, e un luogo che fornisce un modello è la California. L'anno scorso, grazie alla combinazione di energia solare e batterie, lo Stato americano ha soddisfatto un quinto del picco di domanda di elettricità serale con batterie caricate a mezzogiorno.
Solo tre anni fa questa percentuale era solo del due per cento, come avviene attualmente in alcuni mercati chiave dell'Europa che si stanno avvicinando alla tecnologia delle grandi batterie, come l'Irlanda.
"Forse la California offre un'anteprima di ciò che vedremo in Europa tra tre anni", suggerisce.
Le nuove sfide globali e la richiesta massiccia di energia
Ci sono molte incertezze su cosa ci riservi il futuro e su come si svilupperà l'energia nel 2025. Tecnologie emergenti come l'intelligenza artificiale, i centri dati, i veicoli elettrici e le pompe di calore stanno già contribuendo all'aumento della domanda globale, sottolinea il rapporto.
Le prime due sono particolarmente "sconosciute", ma Ember prevede che la crescita dell'energia pulita sia abbastanza rapida da sostenere il tasso di aumento della domanda di elettricità. Le ondate di calore sono state il principale fattore che ha determinato il lieve aumento dell'energia da combustibili fossili lo scorso anno e probabilmente aumenteranno con l'aggravarsi della crisi climatica.
Ma questo non deve significare un ripiego sui combustibili fossili.
"Ogni Paese è in grado di soddisfare l'aumento della domanda con elettricità pulita", afferma Petrovich. Alcuni ingredienti rendono più facile questo processo, aggiunge, come gli elettrodomestici efficienti per il raffreddamento.
L'Europa ha imparato una "dura lezione" sulla sicurezza energetica dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 e da allora sta incrementando le energie rinnovabili.
"Ora che la situazione è più tesa con la Russia, credo che le preoccupazioni per la sicurezza siano più concrete di un tempo e le energie rinnovabili sono viste come una strategia di difesa", afferma Petrovich.
I Paesi dell'Europa centro-orientale sono quelli da tenere d'occhio in termini di energia solare e batterie. Petrovich afferma inoltre di essere impaziente di vedere l'eolico, che ha generato il 18 per cento dell'elettricità dell'Ue, accelerare quest'anno grazie a permessi più rapidi e, si spera, a condizioni più favorevoli.
di Lottie Limb
Fonte https://it.euronews.com/green/2025/04/08/la-produzione-di-energia-pulita-mondiale-raggiunge-il-40-lue-e-una-superpotenza-solare