Secondo il rapporto Global 100 greenhouse gas performance: new pathways for growth and leadership, appena pubblicato dalla Thomson Reuters, da sole le 100 aziende con i più ampi impatti climalteranti a livello mondiale hanno generato 28,4 miliardi di tonnellate di CO2eq nel 2015, rappresentando il 25% dei gas serra emessi dai 7 miliardi di esseri umani che oggi popolano il pianeta.
Al primo posto per emissioni spicca Coal India, società indiana per l’estrazione del carbone, con oltre 2 miliardi di tonnellate di CO2 emesse nel 2015. Segue Pjsc Gazprom, società russa per l’estrazione, la produzione, il trasporto e la vendita di gas, con emissioni superiori agli 1,2 miliardi di tonnellate. La multinazionale americana per il petrolio e il gas, ExxonMobil Corporation, è invece la terza più inquinante con emissioni poco al di sopra del miliardo di tonnellate. Tra i soggetti europei – osservano dall’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile che ha analizzato il rapporto – la Royal Dutch Shell Plc, multinazionale anglo-olandese del petrolio e del gas, che occupa il nono posto della classifica, la francese Total S.A., undicesima, Eni SpA, al quattordicesimo posto con emissioni in aumento rispetto al 2014, e la British Petroleum Plc, dodicesima. Nella maggior parte dei casi, le emissioni sono rimaste pressoché invariate tra il 2014 e il 2015, mentre avrebbero dovuto diminuire. Quelle di alcuni soggetti sono addirittura aumentate».
Eppure, molte di queste multinazionali risultano oggi più consapevoli che in passato del loro impatto sul clima, e rientrano ormai tra qui soggetti che chiedono alla politica internazionale di attivarsi per combattere il cambiamento climatico. Come mai? «Un’analisi della correlazione tra gli introiti delle grandi aziende inquinanti e le loro emissioni – dichiarano dall’ASviS – rivela che mentre i ricavi, cioè il fatturato, sono proporzionali alle emissioni, l’utile netto (dal quale dipende il valore per gli azionisti) non lo è. Questo indica che il decoupling (letteralmente “disaccoppiamento”) funziona e che per gli azionisti il valore non è colpito negativamente dalla decarbonizzazione». Anche le multinazionali fossili hanno capito che il vento è cambiato.
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