La sindrome Nimby all’italiana colpisce la green economy

Dal 2004, l’Osservatorio del Nimby forum rappresenta l’unico database nazionale a monitorare le opposizioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto, e il XII rapporto – presentato ieri, con dati 2016 – non offre molti spunti positivi: la ricerca arriva a contare 359 impianti contestati (+5% rispetto all’anno precedente), variazione «che conferma un trend relativamente stazionario». Non per questo meno allarmante. «Dal piccolo insediamento da 10 milioni o anche meno, fino al grande progetto che sfiora e a volte supera il miliardo di euro. Stiamo parlando – commenta Alessandro Beulcke, presidente di Allea, la società che promuove l’Osservatorio Nimby Forum – di una mole impressionante di investimenti: parecchi miliardi, soprattutto privati, che stentano a essere messi in circolo nell’economia del Paese».

 

E il più grande paradosso è che si tratta in larga parte di investimenti che l’economia del Paese la vorrebbero cambiare, puntando sulla green economy. Dal monitoraggio di oltre 1000 testate, il Nimby forum osserva che comparto energetico (56,7%) e quello dei rifiuti (37,4%) si contendano il podio dei No; il settore energetico vede le opposizioni orientarsi in maniera preponderante verso gli impianti da fonti rinnovabili (75,4% dei No), mentre l’economia circolare – si legge nel rapporto – è uno «slogan che piace a tutti ma che poi, quando si tratta di “convivere” con un impianto per il trattamento biologico di scarti e rifiuti diventa “propaganda” e l’impianto stesso diventa oggetto di opposizione e contestazione». Difatti, l’auspicata transizione alla green economy sta «concentrando un numero crescente di investimenti nella filiera del recupero dei rifiuti» ma anche «moltiplicando iniziative progettuali inevitabilmente contestate».

 

Ed è shockante notare come il monitoraggio della stampa nel 2016 confermi come il ruolo di assoluta centralità della politica, che – tra enti pubblici e partiti politici – trascini «le contestazioni nel 50% dei casi censiti». Contestazioni che spesso finiscono oltre che sui media o in piazza anche in tribunale. Un terzo degli impianti censiti nel 2015 ha subito almeno una interruzione del suo iter autorizzativo «a causa – argomenta Beulcke – di almeno un ricorso all’ente competente (tipicamente il Tar). Ma chi sono i ricorrenti? Chiunque: amministrazioni pubbliche, e ancora più spesso comitati di cittadini associazioni, non per forza di matrice ambientalista. Perché la questione ambientale, in questa guerriglia continua di carte bollate, spesso c’entra nulla».

 

Perché allora il crescente numero di proteste Nimby? La risposta è tanto complessa che sarebbe tremendamente pretenzioso cercare di esaurirla qui. Alla radice c’è la sfiducia nei media come nelle istituzioni, che in questa sorta di interregno che stiamo vivendo e ci separa da un futuro senza certezze non sanno come governare il cambiamento: sono «assenti e deboli», come ha spiegato già nel 2015 il compianto sociologo Zygmunt Bauman proprio in un intervento per il Nimby forum. Tra i motivi specifici delle varie contestazioni, i principali restano poi l’impatto sull’ambiente e gli effetti sulla salute e l’inquinamento, ma sempre più si sottolinea l’assenza di coinvolgimento e partecipazione come causa principe, con un trend di incremento progressivo ma costante: 14,6% nel 2014, 18,6% nel 2015, 21,3% nel 2016.

 

Un ostacolo che dal Nimby forum si augurano possa almeno in parte scardinare l’entrata nell’ordinamento italiano del dibattito pubblico nel 2017 che – in attuazione del codice appalti – sarà obbligatorio sulle opere sopra i 200 o 500 milioni a seconda delle tipologie, su richiesta del governo, di enti locali e cittadini (50mila le firme da raccogliere).

 

«Il desiderio delle comunità locali di dire la propria è lo specchio di una consapevolezza che è ormai solida tra i cittadini – commenta Beulcke – A disarmare questa consapevolezza è, tuttavia, il meccanismo dei social media, che mescola informazione e disinformazione, scienza e opinione, verità e post-verità”. Che il Débat Public, introducendo nuove modalità di informazione e confronto pubblico, possa funzionare da antidoto possibile alle fake news e al dilagare della sindrome Nimby è quanto da tempo auspichiamo». Ma l’esperienza insegna che potrebbe tranquillamente non bastare.

 

Quella della sindrome Nimby non è una malattia che abbandonerà la nostra psiche e la nostra società rapidamente, né facilmente. Serviranno pazienza e investimenti in educazione, occorrerà ricostruire un clima di fiducia tra istituzioni e cittadini – ormai sempre più surriscaldato. Ma i primi frutti del lavoro – è questa l’unica speranza che il rapporto del Nimby forum lascia intravedere – forse stiamo iniziando a coglierli. Rispetto al 2015, passa infatti dal 15% al 20% il numero soggetti che si esprime a favore degli impianti: «Forse qualcosa nel modo di riportare fatti e notizie sta cambiando», ipotizzano dall’Osservatorio. E anche il fatto che le iniziative di comunicazione rimangano prerogativa degli oppositori (80%) fornisce «un’immagine distorta»; da una parte i media riportano con maggiore clamore le notizie e i fatti che si pongono come contrari, dall’altra è un dato di fatto che le persone che sono favorevoli alle opere si attivano di meno rispetto ai contrari, rimanendo spesso nel silenzio. Una maggioranza silenziosa che non si fa sentire, ma che in democrazia dovrebbe contare comunque.

 

di Luca Aterini

 

FONTE: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/paradossi-nazionali-la-sindrome-nimby-allitaliana-colpisce-soprattutto-la-green-economy/