Nel 2016, dopo il successo ottenuto dal programma Millennium development goals attuato dai primi anni 2000, le Nazioni Unite hanno deciso di proseguire l’ambizioso programma di crescita e sviluppo economico sostenibile, proponendo una nuova serie di obiettivi sotto il nome di Sustainable development goals (Sdgs). Proseguendo il lavoro iniziato all’inizio del secolo, l’obbiettivo dei Sdgs è quello di sensibilizzare la popolazione mondiale al fine di promuovere la prosperità economica e proteggere l’ambiente, attraverso una serie di azioni fortemente interconnesse tra loro.
Proprio la stretta relazione tra alcuni degli obbiettivi del programma ha suscitato un certo interesse nella comunità scientifica in ambito economico, in particolare quello del raggiungimento di una disuguaglianza di reddito ridotta e quello di una riduzione del degrado ambientale.
La teoria economica suggerisce infatti che sia essenziale raggiungere un compromesso tra questi due fronti (il cosiddetto trade-off). In altre parole, per ottenere una riduzione della disuguaglianza – e al contempo mantenere un certo grado di benessere economico – è necessario, in alcuni casi e per alcune società, sopportare una certa quantità di degrado ambientale e viceversa. Le spiegazioni di questo risultato si riassumono in due diverse visioni di questa relazione.
La prima è quella della teoria delle curve di Kuznets ambientali, che sostiene che la relazione tra crescita economica e ambiente segua un percorso a U rovesciata; in altre parole, quando un’economia povera inizia a crescere, con essa crescono anche le pressioni negative sull’ambiente. Quando un certo livello di benessere è stato raggiunto dai cittadini, questa tendenza si invertirà e la successiva crescita economica sarà associata a una riduzione degli impatti ambientali negativi. Questo accade perché la crescita economica porta con sé un’evoluzione delle priorità nella comunità che la sperimenta: mentre all’inizio del processo l’interesse era principalmente incentrato sul soddisfacimento dei bisogni primari, raggiunto un certo livello di reddito è la società stessa che sviluppa nuovi bisogni, tra cui una maggiore attenzione verso l’ambiente. In questo caso, la qualità dell’ambiente si pone come un bene superiore, cioè un bene la cui domanda si sviluppa solo quanto si diventa “abbastanza ricchi”.
La seconda visione si basa sul teorema dell’elettore mediano, secondo il quale le decisioni all’interno di una comunità tendono a rispecchiare quelle della maggioranza della popolazione. Se la disuguaglianza in una nazione è bassa, allora le scelte politiche del governo rispecchieranno quelle del cosiddetto elettore mediano, cioè della maggior parte dei cittadini. Al contrario, in caso di alta disuguaglianza, sarà solo una piccola élite della popolazione ad avere un’influenza sufficiente sulle scelte della nazione. In questo caso, affinché si sviluppi un’attenzione alla qualità dell’ambiente è necessaria una massa critica di popolazione che la richieda. La qualità ambientale in questo caso è un bene normale, la cui domanda aumenta quando aumenta il reddito.
Una recente analisi presentata nelle scorse settimane al workshop Seeds di Ferrara (i cui autori sono Marianna Gilli della stessa Università di Ferrara, Francesco Vona della francese Ofce-SciencesPo e Francesco Nicolli dell’Università di Siena e dell’European University Insititute a Firenze), ha mostrato che entrambi i punti di vista delineati possono essere corretti, perché è necessario considerare come la disuguaglianza agisce non in assoluto ma rispetto al livello di reddito medio.
Analizzando dati per 150 paesi e per un periodo di 50 anni, i ricercatori hanno mostrato che solo quando una nazione è sufficientemente ricca (quindi quando il reddito medio dei cittadini è sufficientemente elevato da consentire lo sviluppo di una domanda di qualità ambientale) e con un basso livello di disuguaglianza, si produrrà una domanda di protezione ambientale da parte della popolazione, attraverso il canale dell’elettore mediano.
Agli estremi c’è il caso dei paesi che pur mostrando un basso livello di disuguaglianza sono poveri, e quello dei paesi molto ricchi ma il cui reddito è distribuito in maniera estremamente diseguale. Nel primo gruppo di paesi, la maggior parte della popolazione sarà più preoccupata della crescita economica e del soddisfacimento dei bisogni primari (avere una casa, un lavoro, ecc) che dell’ambiente e una riduzione della disuguaglianza contribuirebbe a rendere alcuni cittadini più poveri e quindi ad aumentare la domanda di politiche per la crescita economica a discapito di quelle ambientali. Al contrario in un paese ricco ma con alta disuguaglianza, sarà l’èlite ricca a dominare il panorama politico imponendo la tutela dei propri interessi. Qui, è un aumento della disuguaglianza che produce maggior degrado ambientale.
Il messaggio lanciato da questa recente analisi è chiaro: nel perseguimento degli obiettivi congiunti di riduzione della disuguaglianza e miglioramento della qualità dell’ambiente è fondamentale considerare la specificità della situazione e capire quali sono i bisogni prioritari della popolazione ancora da soddisfare, per non vanificare gli sforzi fatti verso una direzione – la sostenibilità ambientale – lavorando su un obiettivo che può rivelarsi in alcuni casi contrastante, come la riduzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito.
di Marianna Gilli
FONTE: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/nei-paesi-ricchi-se-cresce-la-disuguaglianza-aumenta-anche-il-degrado-ambientale/