Mediterraneo, un futuro con sempre meno pesce?

Stock ittici ed ecosistemi marini in crisi: nel Mediterraneo, il 78% degli stock ittici è sovrasfruttato e mantenere la pesca ai livelli attuali porterà nei prossimi 50 anni a una riduzione progressiva del pescato e dei relativi profitti, a un indebolimento degli stock ittici e a danni per gli ecosistemi. Solo per fare un esempio, nel Mar Tirreno settentrionale e nel Mar Ligure, con una pressione di pesca ai livelli attuali nei prossimi 15 anni si stima un declino delle catture di nasello del 5-10%.

 

Per risolvere il problema le soluzioni ci sono ma vanno intraprese immediatamente per puntare a una pesca sostenibile e al buono stato ecologico previsti dalle direttive europee. Al contrario, il prezzo che pagherebbero le comunità e l’ambiente sarebbe altissimo.

 

E’ questa la sintesi di un lungo lavoro di analisi portato avanti dal progetto Safenet (Sustainable Fisheries in Mediterranean EU waters through networks of MPAs) finanziato dalla Commissione europea, a cui collabora anche il Wwf, che ha identificato possibili soluzioni, prime fra tutte misure di riduzione della pressione di pesca e protezione dello spazio marino.

 

La soluzione: aree marine protette. Secondo le simulazioni del progetto Safenet, creando reti di aree marine a protezione integrale ed ecologicamente connesse (ovvero collegate tramite dispersione larvale), in 10 anni sarebbe proprio la pesca a trarre i vantaggi maggiori. In particolare, è stato stimato che specie di alto valore commerciale come saraghi e cernie, aumenterebbero di sei volte rispetto alle aree non protette. Inoltre, le catture delle principali specie costiere potrebbero aumentare in uno scenario in cui le zone a protezione integrale all’interno delle Aree marine protette ricoprono il 10% della superficie delle Amp stesse.

 

Secondo i risultati della ricerca, serve una migliore gestione della pesca ricreativa e della piccola pesca per ridurre l’impatto su specie vulnerabili quali tonni, squali, tartarughe marine e cetacei: l’analisi di un esteso set di dati di catture del Mediterraneo occidentale mostra come un quarto delle specie oggetto della piccola pesca e di quella ricreativa nelle acque costiere siano vulnerabili, percentuale che aumenta al 100% delle catture di entrambe le attività di pesca nelle acque offshore. Questo impatto è superiore se si considerano le catture accidentali di entrambe le attività di pesca, dove sono state identificate 27 specie di vertebrati vulnerabili, tra cui uccelli, cetacei, elasmobranchi e tartarughe marine.

 

Il progetto Safenet ha anche rilevato che le attività di pesca nella regione siano in cattivo stato e siano peggiorate nell'ultimo decennio, ma mentre i pescatori professionisti danno la colpa all'inquinamento e alla pesca illegale, i pescatori ricreativi, i gestori delle Amp e i ricercatori danno la colpa allo sforzo di pesca eccessivo.

 

Almeno sei i passi necessari per ottenere effetti positivi su alcuni stock ittici oggetto sia della pesca a strascico che della piccola pesca, e proteggere la salute degli ecosistemi marini: istituire reti di aree marine protette ecologicamente connesse; aumentare le dimensioni delle aree a protezione integrale nelle Amp; perseguire gli obiettivi di rendimento massimo sostenibile per ripristinare le specie costiere; istituire aree di protezione integrale nelle zone di crescita e riproduzione del nasello; gestire la pesca ricreativa per proteggere le specie vulnerabili; coinvolgere tutti i portatori di interesse nella cogestione.

 

Fonte: https://www.adnkronos.com/sostenibilita/risorse/2020/02/20/mediterraneo-futuro-con-sempre-meno-pesce_CwE3gHASdzB1ynAACsPx6J.html