Fuga dall’economia circolare: in 10 anni -72% per gli investimenti pubblici in gestione rifiuti

Non può esistere un’economia circolare senza gli investimenti infrastrutturali necessari alla sua realizzazione: impianti per selezionare, recuperare o smaltire i nostri rifiuti, insieme a spazi di mercato adeguati a valorizzare i prodotti del riciclo sono elementi essenziali alla transizione sui quali però l’Italia si dimostra ancora ampiamente carente, come mostra il rapporto “Per una Strategia nazionale dei rifiuti – Seconda parte: la strategia mette le gambe” presentato ieri a Ecomondo da Fise Assoambiente – che riunisce le imprese di settore – e realizzato per l’associazione dal laboratorio Ref ricerche.

 

Un’anteprima del report era già stata diffusa a settembre, lasciando intravedere l’incapacità di gestire i nostri scarti: mentre la produzione di rifiuti continua a crescere – al netto della crisi Covid-19 – la dotazione impiantistica per trattarli continua a calare, esponendo il Paese a crisi periodiche.

 

Un’assunzione di responsabilità che è mancata in primis da parte dello Stato. Il ruolo storicamente residuale della componente pubblica sugli investimenti nel ciclo dei rifiuti rappresenta di per sé un punto di criticità (si parla di circa il 12% su un totale di oltre 1,1 miliardi di euro investiti nel 2017), ma che è letteralmente esploso nell’ultimo decennio: la mano pubblica ha pressoché rinunciato ad investire nel comparto, passando dai 469 milioni di euro attualizzati del 2009 ai 131 milioni del 2018. Un crollo del 72%. Quest’anno si apre però per la prima volta la storica occasione di invertire la rotta.

 

Grazie alla strategia di ripresa post-Covid Next generation Eu dovrebbero arrivare all’Italia oltre 200 miliardi di euro nei prossimi anni, e la gestione del ciclo dei rifiuti rappresenta a tutti gli effetti un candidato ideale per metterne a frutto una fetta: rappresenta un servizio essenziale alla cittadinanza – com’è emerso in tutta la sua evidenza anche durante la crisi sanitaria – e, in quanto parte essenziale di un’economia davvero circolare, un pilastro della necessaria transizione ecologica.

 

«I fondi collegati a Next generation costituiscono un’occasione unica per implementare una Strategia nazionale dei rifiuti – commenta il presidente di Assoambiente Chicco Testa – a patto però di spenderli efficacemente, privilegiando strumenti economici e incentivi/disincentivi, rispetto alla tradizionale spesa a pioggia. Come primo passo concreto chiediamo al Governo l’istituzione di un Tavolo nazionale di confronto con gli operatori per la definizione del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti», che l’adozione delle ultime direttive Ue in merito all’economia circolare impone all’Italia di varare.

 

Si tratta di un passaggio fondamentale, perché finora a latitare non sono stati soltanto gli investimenti pubblici per la gestione dei rifiuti, ma soprattutto un quadro regolatorio chiaro per stabilire quali impianti servono e dove, sul territorio, per chiudere davvero il cerchio dell’economia circolare. In sua assenza ognuno ha continuato a guardare al proprio orticello, col risultato che ovunque sono cresciute le proteste Nimby e Nimto.

 

Secondo un sondaggio Ref ricerche il 33% dei cittadini vorrebbe che i fondi Next generation venissero indirizzati verso la realizzazione di impianti per il riciclo, ma c’è da chiedersi quanta consapevolezza ci sia davvero dietro questo numero. Un altro sondaggio, due settimane fa, ha rilevato che l’economia circolare piace sempre di più ai cittadini, ma a debita distanza: il 51% degli intervistati non vuole un impianto per il riciclo a meno di 10 km da casa, il 21% arriva a 50 km. Si può immaginare quale sia l’opinione in merito agli altri, pur necessari impianti di recupero energetico o smaltimento. Per capire che questi impianti e la tanto apprezzata economia circolare sono due lati della stessa medaglia occorre dunque un grosso lavoro di informazione e comunicazione, ma quale speranza c’è che vada a buon fine se anche lo Stato non fa la sua parte?

 

Questo significa, ancor prima degli investimenti o dell’utilizzo dei fondi Next generation – che Assoambiente chiede di usare per sostenere, attraverso prestiti, i necessari investimenti dei privati stimati in circa 10 miliardi di euro – norme di riferimento chiare e collaborazione sui territori. È questa l’unica impalcatura su cui poi poter costruire il resto, che Assoambiente auspica possa dare preminenza al riciclo agendo su tre leve economico-finanziarie:

 

ripensare la tassazione ambientale: abolendo la tassa provinciale e l’addizionale per il mancato raggiungimento delle raccolte differenziate, aumentando il tributo speciale discarica e vincolandone il gettito al finanziamento degli impianti, in primis quelli del riciclo;

un nuovo sistema di Responsabilità estesa del produttore (Epr) che assicuri la copertura integrale dei costi efficienti di gestione degli imballaggi, estenda la responsabilità anche a rifiuti oggi non coperti (ingombranti, tessili, giocattoli, ecc), liberando spazi nella tariffa che possono essere destinati a migliorare la qualità del servizio;

introdurre i “Certificati del riciclo”, alla stregua dei “Certificati bianchi” che comprovano l’efficienza energetica, veri e propri titoli negoziabili che attestano l’effettivo riciclo in Italia dei rifiuti e l’impiego di materie prime seconde al posto di quelle vergini. Le risorse ricavate dalla vendita di questi certificati andranno vincolate al sostegno dell’impiantistica nazionale, proteggendo l’industria dalle oscillazioni dei prezzi dei materiali e dell’export.

Al fianco di questi strumenti per compiere un definitivo passo in avanti verso la circolarità, è necessario mettere in campo anche incentivi per sostenere la domanda di prodotti riciclati, che paradossalmente rappresenta da sempre il grande assente nelle politiche nazionali per l’economia circolare. Le possibilità non mancano: aliquote Iva più basse per i prodotti contenenti materiale riciclato; l’imposizione di contenuti minimi obbligatori di materiali da riciclo (specie plastica e carta) nei prodotti; la promozione di ammendante organico con Iva zero; il rafforzamento del Green public procurement (Gpp) e dunque degli acquisti verdi da parte delle Pa, che da soli potrebbero offrire un mercato da 170 miliardi di euro l’anno.

 

di Luca Aterini

 

Fonte: https://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/fuga-dalleconomia-circolare-in-10-anni-72-per-gli-investimenti-pubblici-in-gestione-rifiuti/