“Il mondo è circolare solo per l’8,5%”. I dati Circularity Gap Report 22

Sappiamo già cosa dovremmo fare per trasformare il sistema da lineare a circolare e raggiungere gli obiettivi del protocollo di Parigi, ma non siamo sulla buona strada. Ce lo provano quotidianamente i dati. La più recente conferma arriva dall’analisi dello stato della circolarità nel mondo, misurato ogni anno dal Circularity Gap Report redatto da Circle Economy, un’organizzazione che si occupa di fornire a imprese, decisori pubblici e amministrazioni del mondo gli strumenti per implementare l’economia circolare. Mercoledì 19 gennaio è stata lanciata l’edizione 2022 di questo studio, giunto ormai al suo quinto anno e presentato al World Economic Forum di Davos per le prime tre edizioni. E purtroppo la tendenza che si evidenzia non è positiva.

 

Se, infatti, quando Circle Economy ha iniziato a raccogliere dati cinque anni fa si era già evidenziata una situazione non felice, mostrando come l’economia mondiale fosse circolare solo per il 9,1 per cento, nel 2022 siamo addirittura riusciti a fare peggio, toccando un indice di circolarità dell’8,6 per cento. Questo significa che l’umanità trasforma in scarti il 91,4 per cento di tutto quello che usa. Secondo il report, i prodotti oggi presenti sulla superficie terrestre pesano più della biomassa complessiva che vive sul Pianeta.

 

E l’economia mondiale continua a sottrarre materiali alla terra: “Dal 2015, anno dell’accordo di Parigi, ad oggi, l’economia mondiale ha estratto mezzo miliardo di miliardi di tonnellate di materiale vergine. Nell’economia lineare abbiamo troppe risorse in entrata e troppe emissioni in uscita”, ha spiegato Laxmi Adrianna Haigh, una degli autori dello studio e responsabile editoriale di Circle Economy, nel corso di un evento online di presentazione del report.

 

Le soluzioni

La premessa non è confortante, ma il report non si ferma al dato negativo, bensì offre soluzioni per raggiungere indici più alti di circolarità e trasformare una volta per tutte il sistema. Ventuno soluzioni per l’esattezza, suddivise in sei diversi settori di necessità umane (mobilità, alimentazione, sanità, abitare, consumi e comunicazioni) e improntate a quattro principi fondamentali: usare meno risorse, usare i prodotti più a lungo, riutilizzare le risorse, rigenerare i materiali. Lo studio analizza come le risorse sottratte alla terra entrano nell’economia e soddisfano i nostri bisogni e conclude che, attuando le soluzioni proposte, sarebbe possibile contenere l’innalzamento della temperatura globale da qui al 2050 entro 1,5 gradi. Attraverso un giusto equilibrio di politiche, incentivi finanziari e responsabilità individuale, sostengono gli autori dello studio, la circolarità è accessibile a tutti e ci sono strumenti che chiunque, a qualsiasi livello, può scegliere di utilizzare.

 

“Abbiamo gli strumenti e possiamo usarli per aggiustare la nostra società, – ha detto Marc de Wit, direttore per le alleanze strategiche di Circle Economy e promotore del report – possiamo riparare il clima se riusciremo a riparare l’economia”. Un’economia che non solo è dannosa per il nostro Pianeta, ma è anche profondamente iniqua: secondo gli autori, un modello circolare potrebbe invece colmare le disuguaglianze e generare posti di lavoro di qualità e inclusivi.

 

Per mettere il mondo sulla giusta strada, sono necessari i giusti strumenti. “Uno dei maggiori meriti dello studio è di aver creato un senso di urgenza su come monitorare queste misurazioni sul lungo periodo e su come stabilire degli obiettivi, – ha detto Matthew Fraser, a capo dell’iniziativa che produce lo studio – ma l’ambizione di raddoppiare la circolarità a livello globale nei prossimi dieci anni può essere soddisfatta solo se si utilizzeranno soluzioni digitali che consentano alle nazioni trasparenza su almeno tre settori: metodi di misurazione della circolarità, dati che evidenzino i benefici della circolarità e identificazione delle aree più problematiche con indicazioni di soluzioni concrete e riproducibili”.

 

Con questo obiettivo Circle Economy, in collaborazione con organizzazioni dell’Austria, Norvegia, Oman e Scozia, sta sviluppando un primo prodotto digitale presentato in anteprima nel corso dell’evento del 19 gennaio. Si chiama Ganbatte Nations e nasce per aiutare le nazioni ad accelerare la transizione verso un’economia circolare, mettendo insieme dati e sapere, per creare un percorso che dall’esplorazione della situazione attuale possa portare all’implementazione di azioni concrete. Attraverso questo strumento, si potranno osservare e monitorare gli sforzi di ogni nazione, consentendo una tracciabilità indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi.

 

Sottrarre risorse alla Terra

A conferma dell’importanza che questi strumenti di misurazione stanno assumendo, all’evento di presentazione online del Circularity Gap Report 2022 hanno partecipato anche personalità di spicco del mondo della circolarità che hanno sottolineato come passare a un’economia circolare significa produrre un cambiamento comportamentale, di sistema e di modelli mentali. Anders Wijkman, presidente onorario del Club di Roma e Chair Climate-KIC ha aggiunto che, perché questa trasformazione avvenga, è indispensabile cambiare il modo in cui misuriamo il benessere di una società, usando metri qualitativi più che quantitativi e abbandonando criteri come quello del prodotto interno lordo. Wijkman ha inoltre spiegato che soltanto quando le materie prime vergini costeranno di più ai produttori rispetto alle materie derivate da riciclo e riuso potremo aspettarci di vedere un cambiamento netto: “Dovremmo rendere più dispendioso per le aziende sottrarre risorse alla terra”, ha detto.

 

Infine, Walter R. Stahel, considerato il padre fondatore dell’economia circolare e direttore del Product-Life Institute di Ginevra, ha introdotto il concetto di sufficienza, in opposizione a quello di efficienza: “L’economia attuale – ha detto Stahel – si basa sull’efficienza, ma in un’economia della performance, si fanno più soldi con soluzioni improntate alla sufficienza, non producendo cose nuove ma ottimizzando l’uso dei prodotti. Ma è chiaro che la sufficienza non ha alcun appeal per il settore manifatturiero. Dobbiamo puntare sull’uso più che sulla produzione, per far durare di più le risorse che abbiamo a disposizione”.

 

Gli ospiti dell’evento si sono trovati d’accordo sulla necessità che avvenga un ripensamento generale dei sistemi economici e produttivi e, come ha sottolineato Elisa Tonda, a capo della unità Consumo e produzione della Environment’s Economy Division delle Nazioni Unite, bisogna che l’economia circolare entri nella conversazione sul clima e ci resti fino a quando non avremo messo la Terra al riparo dagli effetti di un modello di sviluppo ormai ampiamente insostenibile.

 

di Maurita Cardone

 

Fonte: https://economiacircolare.com/viviamo-in-un-mondo-poco-circolare-i-dati-del-circularity-gap-report/