Il turismo dei rifiuti speciali: il 24% gestito in altre Regioni, altre 4 mln ton vanno all’estero

Nel 2019 la produzione di rifiuti in Italia ha superato quota 193 milioni di tonnellate: di questi ben 163 mln sono speciali (cioè provenienti da attività industriali, semplificando) e circa 30 mln sono urbani. I primi rappresentano quasi l’85% della produzione complessiva di rifiuti, oltre 5 volte gli urbani, non abbiamo sufficienti impianti per gestirli eppure sono spesso fuori dai radar del dibattito pubblico.

 

A tenere alta l’attenzione sul tema è oggi il nuovo rapporto  Ambiente, energia, lavoro – La centralità dei rifiuti da attività economiche, presentato oggi da Assoambiente.

 

Il report si concentra proprio sui rifiuti speciali, escludendo però dal perimetro quelli del comparto costruzioni e demolizioni: si arriva così a un dato pari a quasi 111 mln di tonnellate, di cui – è bene ricordare – il 14% (circa 16 milioni di tonnellate) sono rifiuti speciali non di origine industriale ma che derivano dal ciclo di trattamento dei rifiuti urbani.

 

Che ne facciamo? In sintesi, nel 2019 il 65% delle oltre 109 mln di tonnellate di rifiuti speciali gestiti è stato avviato a recupero (di materia e di energia) ed il restante 35% ad operazioni di smaltimento (incenerimento, discarica, stoccaggio finalizzato allo smaltimento finale o altre operazioni come il trattamento chimico-fisico). Oltre 15 milioni di rifiuti speciali vengono ancora destinati alla discarica, soprattutto al Centro e al Sud, mentre quasi 7 milioni di rifiuti hanno come destino gli impianti di incenerimento o recupero energetico (come i cementifici).

 

Sul territorio nazionale esistono 11.200 impianti di trattamento dei rifiuti speciali, con forte disomogeneità fra le diverse aree del Paese, a prescindere però dai dati di produzione: circa il 58% è concentrato nel Nord Italia, il 17% al Centro e il 25% al Sud e Isole.

 

Il risultato è un enorme turismo dei rifiuti, con circa 27 mln di tonnellate (24% del totale) dei rifiuti speciali che nel 2019 sono state trattate in un territorio diverso dalla Regione di produzione. Non solo: nello stesso anno sono state conferite all’estero oltre 4 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti in Italia, destinate nel 50% dei casi verso paesi vicini come Germania (che da sola ha assorbito 800mila ton), Austria, Francia, Svizzera e Slovenia.

 

Il 23% dei rifiuti esportati è stato destinato ad impianti di incenerimento o recupero energetico, il 14% è stato conferito in discarica o avviato ad altre operazioni di smaltimento, mentre i restanti flussi sono stati destinati ad impianti per il recupero di materia.

 

«I volumi di rifiuti speciali annualmente esportati sono un forte segnale di carenza impiantistica, particolarmente preoccupante se si considera la previsione di crescita industriale stimata per i prossimi anni. Senza una pianificazione strategica di investimenti in nuovi asset dedicati, si amplierà il gap tra i quantitativi da avviare a trattamento e gli impianti sul territorio», spiega Marco Steardo, presidente della sezione Rifiuti speciali di Assoambiente.

 

Secondo le analisi formulate dall’associazione, già oggi si evidenzia un fabbisogno impiantistico superiore a 10 milioni di tonnellate di rifiuti/anno e un fabbisogno cumulato nei cinque anni (2021-2025) pari a circa 34 milioni di tonnellate. Non colmare questo gap significa continuare a cedere all’estero valore economico pari a circa 1 miliardo di euro l’anno, al netto delle perdite in termini occupazionali, di produzione di materie prime ed energia e, non ultimo, di gettito fiscale, legate alla mancata gestione all’interno del Paese.

 

«La realizzazione degli impianti di riciclo, di recupero di materia e di energia –  aggiunge Steardo – deve essere adeguatamente pianificata, privilegiando la realizzazione di impianti a servizio di distretti produttivi specifici nei quali la gestione dei rifiuti si integrerebbe, producendo materie prime seconde e/o energia utili al distretto stesso. Perché ciò avvenga deve consolidarsi un quadro normativo rigoroso, ma inequivocabilmente applicabile, che, in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute, favorisca dove possibile la trasformazione dei rifiuti in materia, attraverso specifici processi ‘end of waste’».

 

di Luca Aterini

 

Fonte: https://bit.ly/3bctPLX