Le sette vite di Lula, il silenzio di Bolsonaro e la montagna da scalare

L'ultima vittoria di Lula è stata la più complicata, insidiosa e difficile e apre ora la porta alla sfida più grande della sua lunga carriera politica. Se nel 2002 fu chiamato a governare un Paese che vedeva in lui la possibilità di un cambio reale, oggi dovrà farlo con una nazione spaccata in due e, soprattutto, con sei brasiliani su dieci che non lo hanno scelto, vuoi perché hanno scelto Bolsonaro, vuoi perché hanno preferito rimanere a casa, nonostante il voto sia obbligatorio per legge. Se fosse un leader come tutti gli altri potremmo scrivere che la sua nuova corsa verso il Planalto parte azzoppata, ma si tratta di un gatto dalle sette vite e soprattutto dell'uomo che ha saputo tessere in passato grandi alleanze e convergenze, grazie al suo carisma, ma anche a cospicue mazzette a politici dell'opposizione.

 

Lula, insomma, non è uguale agli altri, nel bene e nel male. Nel 2002 arrivò al potere senza contare su una solida maggioranza in Parlamento e capì subito che per andare avanti avrebbe dovuto sedurre quei partiti di centro che, sornioni, sanno sempre spostarsi nella squadra dei vincitori. Strinse un patto di ferro con l'allora PMDB, il maxi partito moderato che era stato alleato del socialdemocratico Fernando Henrique Cardoso quando lui era il barbuto leader dell'opposizione. Questo gli permise di far approvare dal Congresso le ambiziose politiche sociali, fiore all'occhiello della sua gestione, che permisero di superare fame e povertà a quaranta milioni di brasiliani. Vent'anni dopo la fame è tornata e Lula ha promesso che farà di tutto per sconfiggerla. "Saremo ancora noi a risolvere questo problema, saremo ancora noi a garantire a tutti i cittadini di questo Paese tre pasti al giorno, maggiori diritti e uno Stato che si ricordi di loro sempre, non solo nel giorno delle elezioni".

 

Nell'attesa di capire se Bolsonaro sarà in grado, per una volta, di onorare il ruolo istituzionale che ricopre, riconoscendo la vittoria dell'avversario e garantendo una pacifica transizione dei poteri. Con il suo ostracismo e assordante silenzio il "capitano" sta rinnegando il principio stesso del vivere democratico, ma sta anche disprezzando l'appoggio dei 57 milioni di elettori che hanno votato in lui. La logica chiamerebbe a un discorso di ringraziamento verso di loro, alla promessa di un'opposizione dura e senza tregua contro il prossimo governo ma anche a segnali di distensione dopo la campagna elettorale più brutta della storia recente del Brasile.

 

Lula, in ogni caso, tira dritto. È stato blindato dalla comunità internazionale, senza distinzioni di blocchi e schieramenti. Da Biden a Macron, da Xi Jinping e Putin, passando anche per Giorgia Meloni, i grandi del mondo si sono congratulati con lui. È intendimento generale che l'incidente "Bolsonaro", il presidente della decima potenza economica e quarta democrazia al mondo che è stato sostanzialmente ignorato dai suoi pari negli ultimi tre anni, debba terminare. Da presidente Lula sarà probabilmente invitato d'onore dei prossimi meeting internazionali e magari per quel momento sarà riuscito a risolvere le sue ambiguità in politica estera, dall'equidistanza sulla guerra in Ucraina, al silenzio sulle violazioni ai diritti umani in Venezuela o Nicaragua (per non parlare di Cuba). Il mondo aspetta Lula, ma Lula dovrà velocemente rendersi conto che questo mondo è molto cambiato a quello che lui frequentava 15 anni fa. I grandi paesi occidentali oggi vivono spaccature e polarizzazioni profonde, così come il suo Brasile. La via del dialogo interno e internazionale è l'unica possibile per immaginare il futuro.

 

di Emiliano Guanella

 

Fonte: https://www.genteditalia.org/2022/11/01/le-sette-vite-di-lula-il-silenzio-di-bolsonaro-e-la-montagna-da-scalare/