Italia al picco della siccità, nel 2022 abbiamo perso la metà dell’acqua disponibile

La Giornata mondiale per la lotta contro la desertificazione, che si celebra il 17 giugno, cade in un momento di massima allerta. Una preoccupazione confermata dai dati forniti in questi giorni dall’Ispra. Nel 2022 si è registrata una riduzione della disponibilità idrica di oltre il 51% rispetto al periodo 1951-2022. Siamo al minimo storico. La riduzione è decisamente consistente (quasi il 50%) anche facendo riferimento solo all’ultimo trentennio. Sicilia (–80,7%), Sardegna, (–73%) e Po (–66%) sono le aree più colpite nel 2022. L’anno scorso circa il 20% del territorio nazionale ha sofferto la siccità estrema e circa il 40% una siccità severa o moderata. È il bilancio del Bigbang, il modello realizzato dall’Ispra che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2022. 

 

Se poi prendiamo il dato relativo non alla disponibilità idrica complessiva ma alle precipitazioni del 2022 (l’assieme di piogge, grandinate e nevicate dell’anno) si vede – sottolinea l’Ispra – che l’area più colpita è stata il Nord Ovest (–50% rispetto alla media di lungo periodo). Meno preoccupanti, ma pur sempre notevoli, i deficit dell’ordine del –20%, registrati nell’Appennino settentrionale e Centrale con punte del –40%.

“La situazione è allarmante anche facendo il confronto tra la media della disponibilità idrica dell’ultimo trentennio e il trentennio 1951-1980: l’Italia ha perso il 13% della sua risorsa idrica. Sono 19 miliardi di metri cubi di acqua, poco meno del volume del lago di Garda e circa due terzi di tutta l’acqua che ogni anno viene prelevata dall’ambiente per sostenere le attività umane nel nostro Paese”, commenta Simona Savini, responsabile della campagna agricoltura di Greenpeace. “Un calo legato ai cambiamenti climatici che, combinato con l’entità dei prelievi nazionali (pari in media a oltre 30 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno), restituisce una fotografia dello stress idrico a cui il nostro Paese è sottoposto”.

 

Dall’analisi emerge inoltre che il bacino del Po, l’area che ospita i più grandi fiumi e laghi italiani, è anche quella dove si registra il livello di stress idrico più alto (65,6%), quasi il doppio di quello rilevato nel Sud e nelle Isole, aree storicamente più a rischio siccità e desertificazione. Un apparente paradosso che si spiega considerando che più della metà dei prelievi idrici nazionali è concentrata nel distretto padano, dove circa il 70% dell’acqua serve alla produzione agricola e zootecnica nazionale.

 

“Il modello agricolo che si è sviluppato negli ultimi 50 anni non è più adeguato alle risorse oggi disponibili, perché ne utilizza troppe ed è poco resiliente ai cambiamenti climatici: bisogna modificare i sistemi d’irrigazione e adottarne di più efficienti, ma anche orientare le scelte verso coltivazioni e modelli agricoli meno idroesigenti”, ha dichiarato Stefano Tersigni, primo ricercatore Istat. Circa un terzo dell’acqua usata per irrigare le nostre coltivazioni serve a produrre mangimi per la filiera zootecnica, che comunque coprono appena un quarto del fabbisogno del settore. 

 

“Per arginare un fenomeno come la desertificazione, che interessa almeno un terzo del nostro territorio in maniera grave, occorre un intervento coordinato” aggiunge Maria Cristina Tullio, presidente dell’Associazione italiana architettura del paesaggio (Aiapp). ”Il piano nazionale di recupero e resilienza è stato solo in piccola parte destinato ad opere di rigenerazione ambientale: non sarà la costruzione di centinaia di piccole dighe che risolverà la siccità, così come non sono sufficienti le costruzioni di argini per contrastare le alluvioni. Per farlo occorre lavorare su infrastrutture verdi: casse di espansione dei fiumi, alberature, messa a dimora di specie adatte nei punti giusti. In altre parole a un progetto di paesaggio complessivo. Questo è l’appello che verrà rilanciato a Napoli, in occasione della conferenza europea della Federazione internazionale degli architetti del paesaggio”. 

 

In assenza di interventi la situazione è destinata a peggiorare. Secondo i dati emersi nella Conferenza Onu sull’acqua che si è appena tenuta a New York, si prevede che entro il 2030 la domanda globale di acqua dolce supererà del 40% l'offerta disponibile. In due decadi, dal 1998 al 2017, la siccità ha generato perdite economiche dell’ordine di 124 miliardi di dollari, senza considerare la perdita di vite umane e le sofferenze. Sempre secondo le Nazioni Unite, a livello mondiale i circa 700 miliardi di sussidi agricoli sono distribuiti in modo tale da incrementare l’eccessivo consumo di acqua e il degrado delle terre fertili.

 

di Giulio Nespoli

 

Fonte https://www.huffingtonpost.it/dossier/terra/2023/06/17/news/italia_al_picco_della_siccita_nel_2022_abbiamo_perso_la_meta_dellacqua_disponibile-12408168/