La contaminazione da Pfas non risparmia nemmeno i politici europei

Tre vicepresidenti della Commissione europea, il commissario per l’Ambiente, il capo dell’Agenzia europea per l’ambiente e sei membri del Parlamento provenienti da diversi di Stati dell’Unione (dalla Bulgaria alla Croazia, dalla Danimarca alla Svezia, passando per Germania e Paesi Bassi) hanno testato la presenza di 13 Pfas (sostanze per- e polifluoroalchiliche) nel proprio sangue. “Come gran parte della popolazione europea, tutti erano contaminati da Pfas”, segnalano le due organizzazioni che hanno promosso l’iniziativa, ovvero l’European environmental bureau (Eeb) e l’organizzazione ChemSec, che incentiva la sostituzione delle sostanze chimiche tossiche con alternative più sicure. In tutte le persone che si sono sottoposte al test sono state trovate oltre la metà delle 13 sostanze analizzate, con concentrazioni che vanno da 3,2 a 24,66 microgrammi per litro (µg/L). In cinque casi i livelli di esposizione superavano gli attuali livelli di riferimento.

 

I Pfas, noti anche come “inquinanti eterni”, possono avere effetti negativi sulla salute, causando ad esempio cancro, danni al fegato, malattie della tiroide e problemi di infertilità, sono correlati all’obesità, difetti congeniti e disturbi del sistema immunitario. “La contaminazione da Pfas non discrimina: siamo tutti vittime. Nessuno è immune dall’inquinamento chimico, indipendentemente da dove e come vive”, spiega ad Altreconomia Tatiana Santos, responsabile delle politiche sulle sostanze chimiche dell’Eeb.

 

Alcuni dei sette Pfas trovati negli esponenti politici sono già stati vietati in Europa, come il Pfoa e Pfos; altri hanno alcuni usi regolamentati mentre uno (il PFHpS) è ancora consentito sul mercato dell’Unione europea. Tra i politici che hanno accettato di essere testati ci sono Frans Timmermans, già vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il “Green deal” europeo, e Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione europea e commissaria alla concorrenza: nel suo sangue sono stati trovati sette dei 13 Pfas analizzati: “Ho partecipato perché volevo contribuire ad aumentare la consapevolezza di questo semplice fatto: potrebbe volerci ancora del tempo prima che i Pfas vengano completamente sostituiti ma è la strada giusta da percorrere”.

 

I risultati non sorprendono Giuseppe Ungherse, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia e autore del libro inchiesta “Pfas. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” pubblicato nel 2024 per le edizioni di Altreconomia: “Di fatto, per la natura stessa di queste sostanze, siamo di fronte a una contaminazione che non risparmia nessuna creatura vivente sul Pianeta, compreso l’uomo. C’è stato un uso incontrollato degli Pfas che dura tutt’ora e che trova applicazione in diversi campi di uso quotidiano -spiega-. E la scienza è unanime nel dire che non ci sono soglie di sicurezza: gli Pfas possono causare danni alla salute anche a bassissime concentrazioni. Lo scorso dicembre, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale per la sanità ha classificato l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) come ‘cancerogeno per l’uomo’ e l’acido perfluoroottanosolfonico (Pfos) come ‘possibile cancerogeno’ per l’uomo”.

 

Queste sostanze sono state introdotte sul mercato a partire dagli anni 40 del Novecento e hanno trovato un massiccio impiego in migliaia di prodotti grazie alla loro capacità di conferire proprietà idro-repellenti e oleo-repellenti. Si trovano ad esempio nelle padelle antiaderenti, nel filo interdentale, nella carta da forno, in molti prodotti tessili e di arredamento, in prodotti per l’igiene e la pulizia, nelle vernici, nelle schiume anti-incendio e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

 

L’esito dei test condotti sui politici europei dimostra, ancora una volta, come tutte le persone che vivono nel continente siano esposte a livelli di inquinamento da sostanze chimiche allarmanti. Un fenomeno emerso nel corso degli anni grazie alle denunce di attivisti e comitati locali attivi in diverse aree che hanno subito la contaminazione da Pfas, come nel caso dell’azione legale avviata lo scorso giugno contro il colosso chimico Arkema da parte di un gruppo di cittadini di quella che è nota in Francia come “la valle chimica” a Sud di Lione. O come le “Mamme no Pfas” che da anni si battono contro la contaminazione delle falde acquifere nelle province di Vicenza, Verona e Padova che ha un impatto sulla vita di circa 300mila persone. Di recente, nel dicembre 2023, la Corte suprema svedese ha accolto il ricorso presentato dagli abitanti delle città di Kallinge e Ronneby, riconoscendo che “i residenti sono stati esposti, attraverso l’acqua potabile, a livelli elevati di Pfas” e ordinando alla società responsabile della contaminazione di risarcirli per lesioni personali.

 

Eppure, nonostante la gravità ormai accertata della situazione, le pressioni dell’industria hanno portato la Commissione europea a bloccare la tanto necessaria riforma dell’obsoleta normativa europea sul controllo delle sostanze chimiche (“Regulation for registration, evaluation, authorisation and restriction on chemicals, Reach) che risale addirittura al 2006. “C’è la proposta avanza a gennaio 2023 da cinque Stati membri dell’Unione per un divieto di queste sostanze -riprende Tatiana Santos-. C’è poi un’ulteriore proposta per rivedere l’attuale normativa in vigore sugli Pfas”. I tempi per una riforma, tuttavia saranno lunghi: “Verosimilmente non ci aspettiamo l’adozione di una nuova legge prima del 2027, che sarà seguito da un periodo di transizione per le aziende, per l’eliminazione graduale di queste sostanze, che potrà a lungo: ci vorranno almeno 15 anni per eliminare gli Pfas”.

 

La pressione esercitata in questi anni dalle lobby dei produttori è stata imponente, come ha mostrato un’inchiesta realizzata a luglio 2023 dal Corporate Europe Observatory da cui emerge che 13 grandi produttori e utilizzatori di Pfas investono tra i 18,6 e i 21,1 milioni di euro all’anno in attività di lobbying presso le istituzioni europee. Il tutto a fronte di un costo annuale stimato in 52-84 miliardi di euro solo per i danni alla salute causati dall’esposizione a Pfas. Mentre i costi per bonificare gli ecosistemi contaminati dagli “inquinanti eterni” richiederebbe un investimento annuale la cui forbice è compresa tra 10 e 20 miliardi di euro all’anno.

 

Di fronte a questa situazione agire è sempre più urgente, come ricorda Giuseppe Ungherese: “Con una produzione che non subisce battute d’arresto né regolamentazioni efficaci, il carico tossico che lasceremo alle future generazioni e al Pianeta è destinato a peggiorare. L’inerzia politica e istituzionale di fronte alla mole di dati che abbiamo acquisito in questi anni è inaccettabile”.

 

di Ilaria Sesana

 

Fonte https://altreconomia.it/la-contaminazione-da-pfas-non-risparmia-nemmeno-i-politici-europei/