Senza spesa pubblica impossibile conciliare crescita economica e minori impatti ambientali

Immaginate di andare in edicola a comprare un quotidiano. Titolo in prima pagina: “Il governo si impegna a promuovere riforme strutturali volte a rilanciare l’economia”. E poi, sfogliando qualche pagina: “Il ministero dell’Ambiente in prima linea nella lotta al riscaldamento globale”. Entrambe queste affermazioni appaiono verosimili, e non sarebbe poi così strano trovarle all’interno dei nostri quotidiani nazionali. Eppure questi due titoli sono – per come stanno le cose – quasi l’uno la negazione dell’altro. Vediamo di cosa stiamo parlando.

 

Le tradizionali teorie economiche insegnano che un incremento del prodotto interno lordo (Pil), o per essere precisi del potere d’acquisto reale, porti ad un generale aumento del benessere della popolazione. La maggiore capacità di acquisto è sempre vista con favore sia dagli esponenti politici, sia dalle associazioni del commercio o dei consumatori. E come negarlo? Chi storcerebbe il naso davanti ad un aumento, rifiuterebbe un bonus in busta paga, o guarderebbe con disprezzo un lauto bonus aziendale?

 

Generalmente parlando lo stipendio (netto) di una persona si può dividere in due parti: nella prima abbiamo gli esborsi che ogni mese una persona deve necessariamente sostenere per far fronte a tutte le spese indispensabili (mutuo, bollette, cibo, assicurazione, carburante, ecc); nella seconda parte vi è il rimanente, ovvero il reddito discrezionale. Questa parte di reddito è quella che viene riservata alle spese non necessarie, come ad esempio un biglietto del cinema, una crociera nel Mediterraneo, una borsa griffata o una cena al ristorante. Pertanto, un aumento reale del reddito (ovvero un aumento effettivo dopo essere stato normalizzato all’inflazione) va di fatto ad aumentare il reddito discrezionale (mantenuti invariati tutti gli altri parametri).

 

Mettiamo per un momento da parte il discorso del Pil, sul quale torneremo tra poco, e concentriamo la nostra attenzione sul riscaldamento globale.

 

I due principali gas artefici dell’innalzamento della temperatura media del globo sono il diossido di carbonio (CO2) e il metano (CH4). Le principali fonte di emissione di CO2 sono il consumo di combustibili fossili e, in maniera indiretta, la deforestazione. Il metano viene invece principalmente emesso durante le attività agricole, la gestione dei rifiuti, il consumo di energia e la combustione di biomassa (fonte: IPCC fifth assessment report). Quanto è più alta la concentrazione di questi gas nell’atmosfera tanto maggiore sarà l’effetto serra e, conseguentemente, il riscaldamento globale. Per farla – estremamente – breve, se vogliamo limitare il riscaldamento globale dobbiamo impegnarci nel ridurre (drasticamente) il quantitativo annuale delle nostre emissioni.

 

Come possiamo limitare, quindi, le nostre emissioni di gas serra? Il singolo cittadino potrebbe pensare di usare meno la propria auto, favorendo alternative meno inquinanti quali camminare, andare in bicicletta, o utilizzare mezzi pubblici. Oppure potrebbe pensare di abbassare un po’ il termostato di casa (durante l’inverno, viceversa in estate) per ridurre il consumo di energia volta al riscaldamento e raffreddamento degli ambienti domestici. Ma questa è solamente una faccia della medaglia, ovvero il lato delle emissioni dirette. E le indirette?

 

Facciamo un esempio concreto: l’acquisto di un nuovo cellulare. Tutto parte con il processo produttivo, dove una serie di materie prime (metalli, silicati, ecc) sono lavorate e assemblate secondo specifiche volte a definire le caratteristiche del prodotto (aspetto, prestazioni, e così via). Le materie prime devono innanzitutto estratte, quindi trasportate allo stabilimento di lavorazione, e infine portate verso il consumatore finale (distribuzione al dettaglio). Ogni singolo passaggio richiede il consumo di energia – senza contare il consumo dei materiali stessi! – che si va inevitabilmente a tradurre in un incremento di emissioni di gas serra. Queste vengono definite emissioni indirette, ovvero tutte le emissioni legate alla produzione e allo smaltimento di beni materiali.

 

Tornando al discorso della crescita economica, cosa succede quando andiamo ad incrementare il reddito discrezionale? Si finisce con il consumare più beni, viaggiare di più, e di fatto si vanno ad incrementare le emissioni. Ma se non si vuole impattare negativamente sull’ambiente dobbiamo ridurre i nostri consumi, andando di fatto a mandare in crisi il sistema economico.

 

Da una parte abbiamo quindi la volontà di diminuire il nostro impatto sull’ambiente. Dall’altra vogliamo che la nostra economia continui a progredire. Esiste un modo per superare questa dicotomia? Leggendo le poche righe sopra scritte sembrerebbe fossimo di fronte alla classica coperta troppo corta, dove se si vuole incrementare un settore si deve inevitabilmente andare ad impattare negativamente sull’altro.

 

Eppure, secondo una ricerca condotta da CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, ovvero il Centro di ricerca nazionale australiano) e pubblicata su Nature pare proprio di sì. Una serie di interventi mirati e una forte spesa pubblica destinata alla ricerca tecnologica, all’incremento di una rete di trasporti più efficiente, oltre che alla decarbonizzazione della produzione industriale, riuscirebbero nell’ambizioso intento di generare un circolo virtuoso nell’economia e, allo stesso tempo, a ridurre il nostro impatto sull’ambiente. La speranza è quindi che il nostro sistema pubblico concentri una consistente fetta del suo bilancio a miglioramenti strutturali volti alla decarbonizzazione e alla ricerca industriale, al fine di riuscire nell’ambizioso progetto di rilanciare l’economia senza deteriorare in maniera irreversibile l’ambiente stesso in cui viviamo.

 

di

Alessio Miatto

 

Fonte: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/senza-spesa-pubblica-impossibile-conciliare-crescita-economica-minori-impatti-ambientali/

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